Trattamenti invasivi e chirurgici

Nello stadio avanzato della malattia, i neuroni che producono dopamina sono sempre più compromessi e faticano anche a immagazzinare la dopamina. L’efficacia dei farmaci risulta allora fluttuante nel corso della giornata e possono prodursi movimenti involontari. I sintomi del Parkinson, quali le discinesie (movimenti eccessivi) e i blocchi motori, possono aggravarsi fortemente e all’improvviso. I trattamenti invasivi o chirurgici sono delle opzioni. La stimolazione cerebrale profonda e le terapie con la pompa mirano a garantire un'efficacia più costante possibile.

 

Stimolazione cerebrale profonda (SCP)

La stimolazione cerebrale profonda (SCP) è da anni una terapia di efficacia comprovata nella riduzione di queste fastidiose fluttuazioni e dei fenomeni di tremore che i farmaci non riescono a calmare. Degli elettrodi vengono impiantati in determinate regioni cerebrali ed emanano impulsi elettrici ad alta frequenza modulando in maniera mirata le funzioni di determinate regioni cerebrali. Secondo studi il «pacemaker cerebrale» influisce positivamente sulle facoltà motorie, riduce il rischio di cadute, rallenta i sintomi psicotici e stabilizza l’umore (vedi Rivista Parkinson 130).

Esistono due metodi di SCP, che si incentrano su aree mirate diverse in funzione del quadro sintomatico. Il metodo più diffuso è quello della SCP nel cosiddetto nucleo subtalamico, con la quale si riesce a ridurre sensibilmente la quantità di farmaci somministrata. In alcuni pazienti, soprattutto quelli più anziani, questo tipo di stimolazione può tuttavia produrre effetti indesiderati sulla memoria, la deglutizione, l’elocuzione e il comportamento. Un esame in ospedale consente di determinare se la terapia sarà efficace e sicura per la persona in questione.

Un’altra area che può essere stimolata è il globo pallido mediale (interno). In questo caso, la SCP solitamente non si accompagna di una riduzione della terapia farmacologica, ma i movimenti eccessivi vengono direttamente soppressi e la motricità migliora parecchio. Questo metodo può essere applicato anche a pazienti che non sopportano la SCP nel nucleo subtalamico, per esempio quelli con problemi di equilibrio, con disturbi cognitivi leggeri o di media entità oppure gli ultrasettantenni. In questi casi, una stimolazione a livello del globo pallido mediale comporta meno rischi di effetti secondari (vedi Rivista Parkinson 123).

 

Ultrasuoni focalizzati

Quella degli ultrasuoni focalizzati (FUS) è una terapia molto innovativa nell’ambito della quale, dirigendo fasci mirati di onde ultrasoniche verso un bersaglio selezionato, si possono disattivare, cioè distruggere mediante il calore, minuscole regioni cerebrali. La FUS rientra perciò fra le terapie lesionali utilizzabili nella malattia di Parkinson. Già negli anni ’50 – e quindi ben prima dell’avvento della stimolazione cerebrale profonda – si provocavano lesioni chirurgiche per trattare casi particolarmente gravi di Parkinson. La lesione così prodotta è irreversibile. La chirurgia lesionale convenzionale (pallidotomia o talamotomia), che richiede l’apertura del cranio, è stata in gran parte rigisostituita dalla stimolazione cerebrale profonda (SCP). Infatti la lesione del tessuto causata durante un intervento di SCP è di entità trascurabile, poiché la stimolazione è programmata individualmente e può essere adattata anche dopo anni.

Con la FUS guidata dalla risonanza magnetica, ora si dispone di un metodo di altissima precisione che non rende necessaria l’apertura chirurgica della volta cranica. I dati pubblicati sinora su questa tecnica sono incoraggianti. Tuttavia non esistono paragoni diretti con il trattamento mediante SCP, e la maggior parte degli studi condotti attualmente sulla FUS verte solo su interventi monolaterali. La SCP è considerata lo standard ed è un metodo collaudato. Il motivo del riserbo manifestato da molti esperti nei confronti della FUS sta proprio qui: ci vorrebbe più esperienza e più certezza.

In Svizzera oggi è possibile sottoporsi alla FUS nel quadro dell’assicurazione di base anche senza partecipare a uno studio. La copertura dei costi deve essere chiarita con la cassa malati prima dell’intervento, ma viene quasi sempre garantita. I risultati ottenuti sui malati di Parkinson possono essere buoni, come dimostra la prima pubblicazione dedicata alla FUS nel Parkinson (Magara et al.: Journal of Therapeutic Ultrasound, 2014, 2: 11), che tra l’altro rappresenta un’impresa pionieristica svizzera. I dati riportati nell’articolo menzionato si riferiscono a un trattamento monolaterale con FUS. Viene praticato anche l’intervento bilaterale, ma i relativi dati non sono ancora stati pubblicati.
Testo: PD Dr. med. Michael Schüpbach, Rivista Parkinson 128

 

L’infusione sottocutanea di apomorfina

Questa opzione terapeutica prevede la somministrazione continua del farmaco liquido nel tessuto sottocutaneo con l’ausilio di una pompa. Questo sistema comporta un fastidio modesto: la piccola pompa, portata alla cintura, invia il principio attivo direttamente nel tessuto cutaneo attraverso un tubicino sottile e un ago finissimo lungo appena 6–10 mm. La terapia con apomorfina permette di ridurre del 50–60% le fasi «off» durante il giorno e denota una buona efficacia anche in caso di discinesie. Essa può però essere all’origine di problemi psichici e cognitivi.

Uno svantaggio dell’infusione di apomorfina è rappresentato dalla possibile comparsa di reazioni cutanee (formazione di noduli, indurimento del tessuto adiposo sottocutaneo) suscettibili di influire negativamente sull’efficacia (minore assorbimento del farmaco). l’assunzione dei costi vedi BAG.

 

L’infusione intraduodenale di Duodopa®

In base a questo metodo, il principio attivo sotto forma di gel (levodopa/carbidopa) viene infuso in maniera continua direttamente nell’intestino tenue tramite un sottile sondino alimentato da una pompa. Questa terapia mostra una buona efficacia in caso di fluttuazioni motorie e discinesie, e riduce notevolmente le fasi «off». Inoltre essa esplica effetti positivi anche su sintomi non motori quali i disturbi del sonno e i problemi vescicali e digestivi, il che permette di migliorare considerevolmente l’autonomia dei pazienti. In più l’infusione di Duodopa® – a differenza della DBS – si addice anche ai pazienti anziani. Oltre a ciò essa può quasi sempre essere utilizzata come monoterapia (senza il complemento di farmaci per via orale).

I possibili inconvenienti di questa opzione terapeutica sono più che altro di natura tecnica: la pompa è relativamente grande e pesante (500 grammi). A causa della sonda – che può rompersi o ostruirsi, oppure scivolare nell’intestino tenue – questo trattamento è inoltre impegnativo dal profilo delle cure. Accanto a controlli regolari effettuati da personale specializzato appositamente formato, è indispensabile un’accurata istruzione dei familiari curanti.

Per ora la terapia con Duodopa® non è ancora rimborsata dalle casse malati. Tuttavia, le casse malati generalmente assumono i costi, previa presentazione della relativa richiesta.

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