Sono molteplici e variano a seconda dello stadio della malattia. All’inizio dominano l’incertezza e l’ansia, con tante questioni fondamentali a proposito dei piani di vita. Man mano che la malattia progredisce, cambia anche il tipo di preoccupazioni.
Se la persona malata soffre di fluttuazioni o di spossatezza, diventa difficile pianificare le giornate e fare attività insieme a lei. Le faccende domestiche vengono delegate sempre più ai congiunti, che oltretutto si sentono spesso responsabili di far sì che il loro caro malato esegua gli esercizi consigliati dai professionisti. Tutto questo sul lungo termine è molto pesante.
Non solo. Anche essere costantemente attenti e pronti a intervenire quando la persona malata ha bisogno di alzarsi o di essere assistita in caso di blocco motorio richiede molta energia. Succede che a un certo punto il congiunto non se la senta nemmeno più di uscire di casa.
Un indizio è quando si rinuncia sempre più ad attività esterne che si aveva l’abitudine di fare: il corso di ginnastica, l’aperitivo con gli amici eccetera. Anche dormire male per un periodo prolungato è segno di esaurimento delle proprie riserve. O il fatto di perdere facilmente la pazienza con la persona assistita.
Osservo da un punto di vista sistemico come la famiglia gestisce la pressione e i momenti di rilassamento. Mi concentro sulle risorse disponibili. Trovo utile l’impiego di un cosiddetto eco-genogramma relazionale, che include un albero genealogico con, oltre ai familiari, tutte le persone importanti. Determinando l’ambiente sociale in questo modo, si riesce poi a trovare soluzioni di sostegno più concrete.
Che si tratti dello Spitex o di qualcuno che fa le pulizie, i familiari devono fidarsi di chi entra nel loro spazio privato. L’aiuto non può essere un’ulteriore fonte di stress. Purtroppo esistono limiti alle possibilità di assistenza. I servizi disponibili sono insufficienti, specialmente negli orari notturni e in particolare in campagna. Ma constato anche sviluppi positivi come può esserlo un centro diurno in fattoria, dove i parkinsoniani possono partecipare alle attività quotidiane.
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