Häufig gestellte Fragen. FAQ. Wandtafel

Domande frequenti

Nella consultazione online i neurologi rispondono a domande mediche sul morbo di Parkinson. Queste domande riguardano la diagnostica, i farmaci e la terapia. Le risposte sono elencate per argomento.

 

Che effetto fa il succo di pompelmo se si assumono Sifrol® e Madopar®?

Il succo di pompelmo inibisce degli enzimi (appartenenti al sistema P450) presenti nel fegato e nell’intestino che sono importanti per la degradazione di numerosi farmaci. Il succo di pompelmo può quindi aumentare la concentrazione ematica di questi farmaci, il che comporta un rischio di sovradosaggio. Sebbene non siano state descritte interazioni tra pramipexolo (Sifrol®), risp. levodopa/benserazide (Madopar®), e il sistema P450, raccomando prudenza nel consumo di succo di pompelmo. Esistono farmaci antiparkinsoniani come ad es. il ropinirolo (nome commerciale Requip®), come pure antidepressivi spesso impiegati nel Parkinson, per i quali è possibile un’interazione con il succo di pompelmo.

Prof. Dr. med. Stephan Bohlhalter, luglio 2019

Ho letto dell‘effetto benefico del D-lattato sul Parkinson È davvero un barlume di speranza? Dove posso comperare lo iogurt bulgaro? E va bene anche quello greco?

Nel 2014 un team di ricercatori dell’Istituto Max-Planck di biologia cellulare molecolare e genetica di Dresda ha pubblicato i risultati di uno studio secondo cui la funzionalità dei neuroni danneggiati della sostanza nera può essere ripristinata mediante il D-lattato (e il glicolato). Gli studiosi hanno esaminato colture cellulari di neuroni provenienti da parkinsoniani con uno specifico difetto genetico (DJ-1) o trattati con il diserbante Paraquat (vietato in Svizzera dal 1989). Da allora, sembra che non siano più stati pubblicati altri dati su questo tema.

I reperti di laboratorio sono interessanti, poiché il cosiddetto D-lattato levogiro è presente in latticini come lo iogurt, e il meccanismo d’azione attacca la causa del Parkinson. Stando a quanto riferito sulla stampa, a Dresda sono previsti studi clinici volti a verificare se il D-lattato è in grado di alleviare i sintomi del Parkinson oppure di rallentare la malattia. Siamo curiosi di vedere i risultati.

Lo iogurt bulgaro (lactobacillus bulgaricus) è davvero particolarmente ricco di D-lattato. Ciò nonostante, la quantità (1-2 porzioni al giorno) è probabilmente insufficiente per ottenere un effetto sui neuroni danneggiati in caso di Parkinson. Inoltre gli iogurt devono contenere specificamente D-lattato levogiro, capace di superare la barriera emato-encefalica. Di regola, gli iogurt disponibili in commercio contengono invece solo lattato destrogiro.

Prof. Dr. med. Stephan Bohlhalter, marzo 2018

Esiste un piano dei pasti per i parkinsoniani?

Immagino che lei si riferisca al problema delle proteine alimentari che possono entrare in competizione con i farmaci e quindi ridurre l’efficacia della terapia. È il caso di preparati a base di levodopa come Madopar®, Stalevo® o Sinemet®. Se determinate interazioni indesiderate esistono e con quali alimenti avvengono è una questione che va delucidata caso per caso, provando. Sarebbe comunque opportuno continuare a mangiare agli stessi orari delle persone che le circondano.

Per determinare un piano, bisogna prendere in considerazione i seguenti fattori:

  • assumere i farmaci almeno mezz’ora prima di ogni pasto (anche più di mezz’ora va bene);
  • quando si assumono i farmaci, bere almeno 2dl;
  • evitare l’assunzione di farmaci fino a un’ora o un’ora e mezza dopo i pasti.

Se si presta attenzione a questi accorgimenti, generalmente l’effetto dei farmaci non si riduce. Comunque, alla fine è il suo neurologo che deve decidere insieme a lei il dosaggio e il momento più idoneo per l’assunzione dei medicinali.

Elisabeth Ostler, Parkinson Nurse, settembre 2017

L’assunzione di vitamina D ad alto dosaggio può sostituire i farmaci antiparkinsoniani o influire positivamente su di essi?

La vitamina D non può sostituire la dopamina mancante, e quindi nemmeno i farmaci antiparkinsoniani in uso. Tuttavia la vitamina D svolge un ruolo importante ai fini della salute delle ossa, poiché favorisce l’assorbimento di calcio e la mineralizzazione delle ossa, due processi che le rendono forti e sane. La vitamina D blocca anche il rilascio dell’ormone delle ghiandole surrenali (paratormone), che favorisce il riassorbimento di tessuto osseo e l’assottigliamento dell’osso.

Nelle persone con Parkinson si osserva spesso una carenza di vitamina D unita a una bassa densità ossea, che a loro volta comportano un accresciuto rischio di cadute e fratture. Per questa ragione, alcuni esperti ritengono che i parkinsoniani dovrebbero assumere quotidianamente calcio e un complemento a base di vitamina D. Ciò vale in particolare per i malati costretti a letto o molto limitati nella loro capacità di muoversi (e quindi di uscire all’aperto), poiché la maggior parte della vitamina D viene prodotta mediante l’irraggiamento solare della pelle. Il livello di calcio e di vitamina D dovrebbe pertanto essere valutato precocemente dal medico di famiglia: sta poi a lui a stabilire se occorre assumere calcio o preparati a base di vitamina D.

Dr. med. Ines Debove, dicembre 2019

A volte mio marito è talmente bloccato che non riesce a mangiare da solo, oppure impiega tantissimo tempo. Dobbiamo convivere con questa situazione?

Da un canto, un blocco che sopravviene mentre si sta mangiando impedisce di usare autonomamente le posate: la forchetta o il cucchiaio si fermano a metà strada. In queste fasi è praticamente impossibile mangiare da soli. Dall’altro canto, se i muscoli delle guance, della lingua e della gola si irrigidiscono, diventa difficile anche masticare e deglutire. Spesso si osserva che il blocco si aggrava durante il pasto: all’inizio la persona porta ancora le posate alla bocca, ma dopo un po’ non ci riesce più. I blocchi compaiono spesso in concomitanza con fasi di cattiva mobilità.

Discuta con il neurologo un eventuale adeguamento dei farmaci. Sposti gli orari dei pasti nelle fasi di buona mobilità, e offra a suo marito diversi spuntini suddivisi sull’arco della giornata. A volte, può bastare fare una breve pausa durante il pasto e compiere movimenti ampi con le mani e le braccia per sciogliere la muscolatura a un punto tale da poter nuovamente utilizzare le posate. Offrire assistenza durante i pasti può significare che lei no n deve fare altro che dare una leggera spinta alla mano di suo marito. Ma può anche voler dire che lei deve sostituirsi interamente a lui nell’utilizzo delle posate.

Quando mangiare diventa difficile, capita spesso che non ci si nutre più a sufficienza. Pertanto, presti attenzione a un’eventuale perdita di peso di suo marito. Se necessario, la può contrastare utilizzando ingredienti più ricchi di calorie (burro, panna, ecc.) per preparare i pasti di suo marito.

Elisabeth Ostler, Parkinson Nurse, septembre 2020

Soffro di Parkinson da 13 anni e finora prendendo il Madopar® (3 volte al giorno200/50) non avevo disturbi ed ero abile al lavoro. Ultimamente però è subentrato un peggioramento: talvolta non posso muovermi, poi ho dei movimenti involontari e non posso star seduto tranquillo. Il mio medico sta prendendo seriamente in considerazione l’idea di prescrivermi un agonista, ma io ho paura degli effetti collaterali. Cosa farebbe lei?

Ciò che lei descrive rappresenta una tipica complicazione che purtroppo si può osservare dopo diversi anni di terapia per il Parkinson. Queste fluttuazioni dell’efficacia e questi blocchi possono persino comparire ancora prima che nel suo caso. Essi sono dovuti all’assunzione intermittente dei medicamenti e ai valori fluttuanti del sangue che ne derivano.

Ci sono diverse misure che possono portare ad un certo miglioramento: assumere i medicamenti diverse volte al giorno, ma in dosi più piccole, assumere medicamenti di lunga efficacia, per esempio combinati con un farmaco che mantiene costante il livello di levodopa (Stalevo), oppure medicamenti ad applicazione continuata, per esempio tramite un cerotto cutaneo (Neupro). Queste misure si devono provare passo dopo passo, eventualmente anche in combinazione.

Prof. Dr. med. Mathias Sturzenegger (archivio Parkinson Svizzera)

Sono un uomo di 73 anni e ho il Parkinson da 14 anni. Da un po’ di tempo cado spesso. Ciò potrebbe essere dovuto a un aumento del dosaggio del Rivotril®?

Non è facile rispondere a questa domanda. Dopo 14 anni di Parkinson purtroppo le cadute non sono un evento inconsueto. Ciò nonostante, per valutare precisamente la situazione occorre porre due domande importanti: 1. In quale fase si verificano le cadute? Nella fase ON – ossia quando i farmaci agiscono bene – oppure nella fase OFF? 2. Le cadute avvengono nel contesto di un episodio di freezing (blocco motorio) o di una festinazione (accelerazione involontaria dell’andatura), oppure indipendentemente da ciò? Se le cadute si verificano nella fase ON e indipendentemente da fenomeni di freezing/festinazione, probabilmente sono imputabili a un’alterazione del controllo posturale. In altre parole, i riflessi automatici che normalmente ci proteggono dalle cadute non sono più abbastanza veloci e precisi. Il trattamento di questa situazione è molto difficile, e gli sforzi si devono concentrare soprattutto sulla prevenzione delle cadute con l’ausilio della fisioterapia e di mezzi ausiliari. Se invece le cadute avvengono nella fase OFF o nel contesto di episodi di freezing, si possono ottenere dei miglioramenti adeguando la terapia.

Presumo che lei assuma il Rivotril® alla sera poiché soffre di uno specifico disturbo del sonno (disturbo del comportamento in fase REM). Nella maggior parte dei casi, per il trattamento di questo disturbo basta una dose molto piccola che di regola non ha alcun influsso rilevante sul rischio di caduta. Nel suo caso è però importante stabilire se esiste un nesso tra l’inizio della terapia con Rivotril® e le cadute. Se lei cade più spesso da quando prende il Rivotril®, oppure da quando ha aumentato la dose, è possibile che questo sia un fattore che si ripercuote negativamente sul rischio di caduta. Per il Rivotril® vale indubbiamente la regola d’oro «quanto basta, ma meno possibile». Se il Rivotril® non le è stato prescritto per un disturbo del comportamento in fase REM, le converrebbe provare a smettere di prenderlo.   

PD Dr. med. Georg Kägi, luglio 2020

A chi è malato di Parkinson serve un «allenamento anticadute»? E dove si trovano offerte di questo tipo?

Sì, l’allenamento per la prevenzione delle cadute è utile nel Parkinson. Quando la malattia è avanzata, può subentrare una diminuzione dei cosiddetti riflessi posturali: nella persona sana questi ultimi fanno sì che non si inciampi in caso di movimenti rapidi del tronco o camminando all’indietro. Per verificare se questi riflessi sono effettivamente ridotti, lo specialista chiede al paziente di stare in piedi a gambe larghe e, posizionandosi dietro di lui, gli dà un impulso all’indietro su entrambe le spalle.

Se il paziente rimane in piedi o compensa compiendo due o tre passi all’indietro, il riflesso è intatto. Se invece reagisce con più passi all’indietro o inclinando indietro il tronco, il riflesso è debole o alterato. In questo caso, dà buoni risultati l’allenamento dell’equilibrio: svolto nell’ambito di una fisioterapia, è mirato all’apprendimento di passi compensatori che in caso di rischio di caduta possono evitare di inciampare.

Prof. Dr. med. Ulrich Roelcke, dicembre 2018

Da circa un anno convivo con il Parkinson e soffro quotidianamente di un alto rischio di caduta. Mi è già capitato di cadere parecchie volte in casa e mi chiedevo che cosa potrei fare.

È una buona cosa voler intraprendere qualcosa contro il rischio di cadute. Innanzitutto, dovrebbe informare il suo neurologo ed eventualmente bisognerà cambiare la terapia. È però risaputo che in caso di Parkinson non è sempre possibile ridurre le cadute con un semplice adeguamento della terapia farmacologica.

Come seconda misura, è molto utile la fisioterapia. La o il fisioterapista effettuerà un’analisi delle cadute e su tale base elaborerà misure fisioterapeutiche che la aiuteranno nella vita di tutti i giorni. Uno dei sintomi del Parkinson è la perdita dei movimenti automatici. Imparando a muovere le gambe in modo «consapevole», potrà ridurre il rischio di cadere (cf. l’opuscolo gratuito «trucchi utili contro il freezing»).

Può inoltre far controllare i punti a pericolo di caduta nel suo appartamento e quindi adottare i provvedimenti necessari, come la rimozione di tappeti e l’installazione di maniglie in bagno. Parkinson Svizzera sostiene il progetto di prevenzione della Lega svizzera contro il reumatismo e della cassa malati CSS «Prevenzione delle cadute in casa».

Elisabeth Ostler, Parkinson Nurse, settembre 2017

Ho il Parkinson, sono stato ricoverato due volte e la mia terapia e molto ben calibrata, tant’è vero che fino a poco tempo fa non mi accorgevo nemmeno di essere malato. Recentemente sono stato operato in seguito a un aneurisma dell’aorta. Da quando mi sono risvegliato dalla narcosi ho grandi difficoltà a camminare. C’entra forse con l‘operazione?

Un peggioramento può essere causato da taluni farmaci che vengono impiegati per la narcosi allo scopo di calmare o combattere la nausea. Ciò può comportare un’esacerbazione dei sintomi parkinsoniani, che però è spesso reversibile. Andrebbero evitati i farmaci con i seguenti principi attivi: metoclopramide, neurolettici (ad eccezione di clozapina e quetiapina), reserpina, antagonisti della 5-idrossitriptamina. Va inoltre ricordato tenuto che bisogna continuare ad assumere i farmaci antiparkinsoniani prima dell’intervento e immediatamente dopo. L’ultima assunzione dei farmaci contro il Parkinson deve avvenire il mattino prima dell’operazione. Terminato l’intervento, non appena si può nuovamente deglutire bisogna subito ricominciare ad assumere i farmaci secondo lo schema abituale.

In generale, le operazioni rappresentano una sollecitazione particolare per i malati di Parkinson, che impiegano più tempo a recuperare.

Prof. Dr. med. Ulrich Roelcke, dicembre 2018

Mio marito è a uno stadio avanzato del Parkinson. I farmaci non hanno più un effetto molto soddisfacente, per cui le fasi off sono sempre più lunghe e frequenti. La stimolazione cerebrale profonda per lui è fuori questione. La terapia con pompa potrebbe aiutare? E a partire da che momento?

Con il decorso del Parkinson, il cervello perde un numero crescente di cellule nervose responsabili della produzione e dell’immagazzinamento del neurotrasmettitore dopamina. A mano a mano che la malattia progredisce, il trattamento a base di pastiglie diviene meno soddisfacente. Ci vuole più tempo perché le compresse ingerite facciano effetto, anche per il fatto che nei parkinsoniani lo svuotamento dello stomaco spesso è rallentato. Anche cambiando più volte il tipo di farmaco, in alcuni casi è difficile ottenere una buona mobilità soltanto con l’assunzione delle pastiglie e dell’eventuale applicazione aggiuntiva di un cerotto transdermico. Per reagire in caso di fluttuazioni delle fasi onoff e di discinesie (movimenti involontari), oltre alla stimolazione cerebrale profonda (DBS) esiste la possibilità della cosiddetta terapia con pompa. Solo in una clinica neurologica specializzata è tuttavia possibile valutare se questa soluzione si addice a un caso specifico.

Dr. med. Helene Lisitchkina, dicembre 2021

Nel mio caso i primi sintomi del Parkinson sono comparsi dopo un’anestesia generale. 16 anni più tardi e dopo un’altra operazione con narcosi, il mio stato è nettamente peggiorato. Un’anestesia generale può provocare un aggravamento notevole e duraturo dei sintomi parkinsoniani?

Un’anestesia generale, come del resto qualsiasi operazione, comporta una grande sollecitazione per il corpo. Quello dell’esacerbazione temporanea dei sintomi dopo un intervento chirurgico è un fenomeno osservato spesso nei malati di Parkinson. Tuttavia non esiste alcuna prova del fatto che un’anestesia generale possa causare problemi permanenti nelle persone con Parkinson.

È importante che, per quanto possibile, prima, durante e dopo la narcosi i farmaci siano somministrati secondo lo schema abituale. Inoltre è opportuno che il paziente sia programmato come primo intervento chirurgico della giornata e che non si utilizzino farmaci che interferiscono con il livello di dopamina. I medici anestesisti sono consapevoli di questa problematica di fondo.

Dr. med. Georg Kägi, marzo 2016

Quali terapia con pompa esistono e come funzionano?

L’idea alla base delle pompe è di non dover aspettare che le pastiglie transitino dallo stomaco all’intestino e poi al sangue. Grazie a pompe elettroniche, i farmaci vengono somministrati in piccole dosi in modo continuativo, il che consente di avere un effetto più rapido e costante. In tal modo l’assunzione di pastiglie può essere fortemente ridotta o addirittura sospesa. Le pompe si portano esternamente sul corpo. La regolazione della terapia è piuttosto complicata (trovare il dosaggio, imparare a utilizzare la pompa, istruire la o il paziente e chi se ne prende cura ecc.) e avviene in reparto. In caso di problemi con la pompa, è disponibile una hotline gratuita ventiquattr’ore su ventiquattro.

Pompa per apomorfina
L’apomorfina è un agonista dopaminergico (una sostanza che assomiglia alla dopamina e ne imita l’azione) somministrato direttamente nel tessuto adiposo sottocutaneo attraverso un ago sottile collegato a un tubo fine che è a sua volta collegato a un contenitore fissato alla pompa. Dal tessuto adiposo, il farmaco passa nel sangue. L’ago viene riposizionato ogni giorno e fissato alla pelle con un nastro adesivo. Lo sviluppo di indurimenti sottocutanei simili a noduli è un effetto collaterale relativamente frequente. In genere è innocuo e tende a sparire dopo alcuni giorni.

Pompa per duodopa
Il gel a base di carbidopa e levodopa viene trasportato direttamente nell’intestino tenue attraverso una sonda o tubicino di plastica. Da lì il principio attivo passa subito nel sangue. Durante una fase di test si verifica con una sonda nasale provvisoria che il trattamento sia efficace. Poi, attraverso un piccolo intervento chirurgico con un’anestesia breve, viene applicata la sonda permanente. Si realizza un accesso artificiale allo stomaco attraverso la parete addominale (PEG), che consente di introdurre un tubo sottile fino alla parte superiore dell’intestino tenue, da dove il principio attivo può essere assorbito dal sangue. Di regola, eventuali effetti secondari, come un’infiammazione nel punto in cui passa la sonda oppure un’ostruzione o uno spostamento della stessa, sono facili da risolvere.

Dr. med. Helene Lisitchkina, dicembre 2021
 

 

Mi vorrei informare in merito alla tecnica degli ultrasuoni focalizzati: è ancora allo stadio sperimentale oppure viene applicata ai pazienti anche al di fuori di studi controllati?

Quella degli ultrasuoni focalizzati (FUS) è una terapia molto innovativa nell’ambito della quale, dirigendo fasci mirati di onde ultrasoniche verso un bersaglio selezionato, si possono disattivare, cioè distruggere mediante il calore, minuscole regioni cerebrali. La FUS rientra perciò fra le terapie lesionali utilizzabili nella malattia di Parkinson. Già negli anni ’50 – e quindi ben prima dell’avvento della stimolazione cerebrale profonda – si provocavano lesioni chirurgiche per trattare casi particolarmente gravi di Parkinson. La lesione così prodotta è irreversibile. La chirurgia lesionale convenzionale (pallidotomia o talamotomia), che richiede l’apertura del cranio, è stata in gran parte sostituita dalla stimolazione cerebrale profonda (SCP). Infatti la lesione del tessuto causata durante un intervento di SCP è di entità trascurabile, poiché la stimolazione è programmata individualmente e può essere adattata anche dopo anni.

Con la FUS guidata dalla risonanza magnetica, ora si dispone di un metodo di altissima precisione che non rende necessaria l’apertura chirurgica della volta cranica. I dati pubblicati sinora su questa tecnica sono incoraggianti. Tuttavia non esistono paragoni diretti con il trattamento mediante SCP, e la maggior parte degli studi condotti attualmente sulla FUS verte solo su interventi monolaterali. La SCP è considerata lo standard ed è un metodo collaudato. Il motivo del riserbo manifestato da molti esperti nei confronti della FUS sta proprio qui: ci vorrebbe più esperienza e più certezza. In Svizzera oggi è possibile sottoporsi alla FUS nel quadro dell’assicurazione di base anche senza partecipare a uno studio. La copertura dei costi deve essere chiarita con la cassa malati prima dell’intervento, ma viene quasi sempre garantita.

I risultati ottenuti sui malati di Parkinson possono essere buoni, come dimostra la prima pubblicazione dedicata alla FUS nel Parkinson (Magara et al.: Journal of Therapeutic Ultrasound, 2014, 2: 11), che tra l’altro rappresenta un’impresa pionieristica svizzera. I dati riportati nell’articolo menzionato si riferiscono a un trattamento monolaterale con FUS. Viene praticato anche l’intervento bilaterale, ma i relativi dati non sono ancora stati pubblicati.

PD Dr.  med. Michael Schüpbach, dicembre 2017

Mia moglie ha 72 anni e convive da quasi quattro anni con il Parkinson. Purtroppo, appartiene a quel gruppo di malati in cui si osserva anche uno sviluppo demenziale che, nel suo caso, si sta aggravando fortemente da tre mesi a questa parte con allucinazioni, stati confusionali, perdita del senso del tempo, disorientamento ecc. Che cosa si può fare?

I disturbi che lei descrive possono effettivamente essere ricondotti a una demenza. La rapida progressione dei sintomi così come il fatto che in alcuni momenti sua moglie è invece perfettamente lucida, ­potrebbero tuttavia anche indicare che questi cambiamenti sono dovuti a motivi farmacologici. È infatti risaputo che le ­sostanze dopaminergiche impiegate nella terapia contro il Parkinson possono in certi casi provocare stati di confusione e allucinazioni. Per il medico, si tratta di un dilemma, poiché riducendo le dosi di farmaco, i sintomi del Parkinson rischiano di peggiorare.

Talvolta, la somministrazione di medicinali dagli effetti antipsicotici (neurolettici atipici come il Leponex) lenisce i problemi di allucinazione senza che diventi necessario ridurre i farmaci contro il Parkinson. Può eventualmente essere somministrata anche della rivastigmina (l’Exelon), poiché sembra che essa freni parzialmente gli sviluppi demenziali. ­Tuttavia, è escluso che li possa bloccare del tutto. Tali adeguamenti del trattamento farmacologico devono essere valutati da un neurologo competente in materia di Parkinson.

Dr. med. Claude Veney (archivio Parkinson Svizzera)

Che nessi ci sono tra Parkinson e demenza? Da un canto, si sente sempre dire che non esiste una «demenza parkinsoniana ». D'altro canto, ho letto che la demenza può insorgere come patologia connessa al Parkinson, in parte anche dovuta ai farmaci. Dove sta la verità?

La malattia di Parkinson può, ma non deve, portare a un declino delle prestazioni mentali (cognitive). Solo una parte dei malati di Parkinson sviluppa una cosiddetta demenza parkinsoniana nel decorso avanzato della malattia, e nella letteratura si trovano indicazioni discordanti riguardo alla frequenza. Va però detto che spesso sono colpite solo singole abilità, come la fluidità dell’eloquio oppure la capacità di ignorare certi stimoli e di concentrarsi sull’esecuzione dei compiti. I moderni farmaci antiparkinsoniani non sono sospettati di provocare demenza.

Prof. Dr. med. Christian Baumann, settembre 2021

A mio fratello (68 anni) è stata appena diagnosticata la "AMS-C" e il suo medico gli ha detto che questa malattia non è curabile. È vero? Che cos'è AMS-C? Che cosa possiamo fare? Quali terapie possono aiutare?

La diagnosi di AMS-C è: atrofia multisistemica di tipo cerebellare. La malattia fa parte di quelle simili al Parkinson con caratteristiche particolari. Purtroppo, al momento non abbiamo una cura.

Tuttavia, abbiamo un arsenale di trattamenti che permettono di trattare i sintomi della malattia (rigidità, calo della pressione sanguigna, ecc.). I trattamenti a base di levodopa alleviano la rigidità. Abbiamo anche una serie di opzioni farmacologiche e non farmacologiche per la pressione bassa. Inoltre, terapie come la fisioterapia, la terapia occupazionale o la logopedia sono tutte efficaci per mantenere le prestazioni. Infine, l'attività fisica deve essere mantenuta in modo sicuro.

Vi incoraggio quindi a cercare neurologi abituati a questo tipo di malattia, che possano circondarsi dei giusti terapeuti, al fine di fornire l'intera gamma di servizi richiesti per questo tipo di malattia.

Dr. med. André Zacharia, giugno 2022

Come si diagnostica il Parkinson? È possibile farlo mediante un emogramma, ossia esaminando il sangue?

La malattia di Parkinson si diagnostica esclusivamente a partire dai sintomi clinici. La diagnosi, suddivisa in tre categorie dalla United Kingdom Parkinson’s Disease Society Brain Bank, si basa su una serie di criteri inclusivi ed esclusivi. (1) Presenza di una sintomatologia neurologica tipica (bradicinesia  accompagnata da tremore nella fase di riposo o rigidità o instabilità posturale) che denota una sindrome di Parkinson. (2) Insorgenza di sintomi neurologici atipici ed esclusione delle cause secondarie del Parkinson, per esempio, di un trauma cranico o dell’assunzione di determinati farmaci. (3)  Insorgenza di sintomi clinici caratteristici con forte sospetto di Parkinson, come tremore a riposo unilaterale, un’ottima reazione alla levodopa e sviluppo di discinesie. L’applicazione coerente di questi criteri consente una diagnosi precisa all’85 per cento.

Le diagnosi errate sono possibili, spesso in caso di pazienti con un’altra sindrome parkinsoniana degenerativa, come l’atrofia multi-sistemica (AMS). Allo scopo di migliorare la qualità della diagnosi, recentemente la Movement Disorder Society (MDS) ha proposto di rielaborare i criteri, aggiungendo diversi bioindicatori, come l’analisi dell’olfatto. Nella maggior parte dei casi, nei pazienti affetti da Parkinson i risultati di simili test deviano dalla norma.

Una diagnosi sicura è possibile soltanto dopo un esame neuropatologico dettagliato effettuabile dopo il decesso. Fanno eccezione i rari casi in cui la malattia ha un’origine genetica. È allora possibile fare un esame del sangue e, con un’analisi genetica, si può determinare con sicurezza se c’è una mutazione patogena che provoca il Parkinson. Per dare una risposta sintetica alla sua domanda: salvo il caso eccezionale di una predisposizione genetica, attualmente non siamo in grado di diagnosticare il Parkinson con un esame ematico.

Prof. Dr. med. Pierre Burkhard, luglio 2016

In genere, quanto più precocemente viene diagnosticato il Parkinson, tanto maggiori sono le possibilità di un trattamento ottimale dei sintomi. Perché è così? Quali sono le differenze tra trattamento precoce e tardivo?

Le terapie farmacologiche per la malattia di Parkinson sono in grado di controllare in modo efficace molti dei sintomi motori ed una parte dei sintomi non motori soprattutto nelle fasi iniziali della malattia. Una presa a carico precoce permette al neurologo di sfruttare al massimo questa opportunità e di poter «cucire» sul paziente una terapia farmacologica mirata e in grado di migliorare non solo le scale cliniche, ma anche la qualità della vita.

Quanto alle terapie non farmacologiche è stato dimostrato che alcune attività complementari (tai chi, musica, nordic walking), l’attività aerobica e allenamenti mirati (training del cammino, dell’equilibrio, potenziamento muscolare controllato) possono essere efficaci, soprattutto nelle fasi inziali della malattia, nel favorire un miglior funzionamento sia motorio che psichico. 

Sembrerebbe inoltre che l’attività fisica alla giusta intensità potrebbe favorire la comunicazione tra i neuroni, la vascolarizzazione cerebrale e la liberazione di fattori di crescita neuronali e quindi la salute cerebrale. 

Per favorire quindi la qualità della vita e per evitare il circolo vizioso «sintomo-perdita di funzioni-disabilità-peggiorameno del sintomo» risulta importante sfruttare l’efficacia delle terapie precocemente per mantenere uno stile di vita attivo e soddisfacente.

Dr. med. Daria Dinacci, medico capoclinica Clinica Hildebrand Brissago, settembre 2023

 

Se soffro di Parkinson, posso assumere analgesici per lenire i miei dolori? Ho sentito dire che gli analgesici riducono l’efficacia dei farmaci somministrati ai parkinsoniani.

La questione dei dolori in caso di Parkinson è complessa. In linea di principio, non si tratta di una malattia dolorosa. Eppure, succede che si manifestino dolori muscolari come i crampi, distonie mattutine a livello delle dita dei piedi oppure la restless legs syndrome (sindrome delle gambe senza riposo). È inoltre possibile che il Parkinon insorga in concomitanza con altre patologie non rare a una certa età e che provocano dolori. Pensiamo ai reumatismi nelle articolazioni oppure nella colonna vertebrale. È interessante constatare che l’assunzione di farmaci a base di levodopa spesso ha un effetto sui dolori: essi sono forti durante le fasi off, ma diminuiscono o spariscono completamente nelle fasi on.

La terapia a base di farmaci, mediante pompe o con la stimolazione cerebrale profonda permette di stabilizzare i sintomi e lenire efficacemente i dolori. Per concludere, posso confermare che determinati antidolorifici in effetti possono esercitare un influsso negativo sui sintomi del Parkinson. È soprattutto il caso degli oppiacei, che sono espressamente controindicati in caso di somministrazione di inibitori delle MAO-B (p.es. l’Azilect) o di anticolinergici (p.es. l’Akineton). Per il resto, assumere i comuni antidolorifici come il paracetamolo o i FANS non causa problemi.

Prof. Dr. med. Pierre Burkhard, luglio 2016

Ho ricevuto la diagnosi di Parkinson 15 anni fa. Da alcuni mesi, appena mi siedo o mi sdraio sento spesso una specie di «ronzio e formicolio» nelle braccia e nelle gambe, e a volte anche in tutto il corpo. È insopportabile. Non riesco più a riposare! Cosa sta succedendo? Cosa impedisce il riposo di cui ho tanto bisogno? Dato che per ovvi motivi vorrei saperne di più, spero che mi possiate dare una spiegazione e – meglio ancora – un consiglio per alleviare i miei disturbi.

I disturbi della sensibilità, i dolori e le parestesie sono fenomeni tutt’altro che rari nella malattia di Parkinson. Fra le molteplici cause possibili, cito ad es. una fluttuazione dell’efficacia terapeutica o una sindrome delle gambe senza riposo. In questa situazione, per me sarebbe essenziale sapere se c’è un nesso tra i disturbi e gli orari d’assunzione dei farmaci antiparkinsoniani, oppure se essi compaiono ad es. la sera.

I «ronzii e formicolii» possono essere indizio di un dosaggio insufficiente della terapia antiparkinsoniana (fenomeno off) o di un eccesso di farmaci. Per decidere i passi terapeutici da intraprendere, sarebbe molto utile un diario nel quale lei scrive quale disturbo compare quando, e in quale rapporto temporale con l’assunzione dei farmaci.

Dr. med. Georg Kägi, marzo 2016

Ogni volta che prendo il Madopar sono assalito da dolori e crampi. Il Madopar può essere nocivo? E cosa posso fare per i miei dolori?

I dolori cronici sono frequenti nella malattia di Parkinson e possono avere diverse origini. Il trattamento si orienta in funzione della causa. I dolori possono manifestarsi come sintomo non motorio imputabile al Parkinson. Per ora non si è potuto chiarire a fondo come nascono i dolori nel Parkinson, e come la dopamina influisce sull’elaborazione del dolore nel cervello. Questi aspetti sono oggetto di studio. I dolori possono essere una conseguenza della rigidità muscolare, ma anche del rallentamento motorio e dell’immobilità. Se rispondono bene alla terapia, i dolori alle spalle e alle braccia possono essere un sintomo precoce del Parkinson.

Le fluttuazioni motorie tipiche degli stadi avanzati della malattia possono essere accompagnate da vari tipi di dolore. Nelle fasi off, il dolore può essere cagionato da una distonia, cioè una contrazione muscolare involontaria e persistente: ne è un esempio la distonia del piede e/o dell’alluce che insorge il mattino, prima dell’assunzione dei farmaci. Queste distonie dolorose si manifestano però anche nel corso della giornata, quando l’effetto dei farmaci scema. Inoltre possono essere percepite come dolorose anche le discinesie, ovvero i movimenti anomali involontari che compaiono quando i farmaci agiscono (troppo) bene.

Per finire, vanno citati anche i dolori alla schiena e alle articolazioni imputabili a posizioni scorrette, come pure i sintomi non motori quali la stitichezza, che causa mal di pancia. I dolori possono anche avere cause diverse dal Parkinson: ne sono un esempio i dolori a livello di muscoli e legamenti, oppure i dolori neuropatici provocati da una malattia del sistema nervoso periferico (polineuropatia). In questi casi, può essere utile un’analisi del decorso mirata ad individuare le possibili cause del dolore. A tutto ciò si aggiungono condizioni quali depressione, paure, disturbi del sonno e stanchezza, che a loro volta possono esacerbare il dolore. Lei mi chiede se il Madopar è dannoso: non esiste alcun indizio di un possibile effetto nocivo (tossico) della dopamina. Anzi: grazie al miglioramento clinico, l’aspettativa di vita è significativamente aumentata rispetto all’era pre-dopamina.

Quali consigli di natura generale contro i dolori nel Parkinson valgono una calibrazione ottimale della terapia, comprese le opzioni terapeutiche più avanzate, la prescrizione di terapie antidolorifiche convenzionali e il ricorso a un ambulatorio per la terapia del dolore. Approcci terapeutici non medicamentosi sono offerti dalla fisioterapia (scuola del dorso) e dalle terapie antireumatiche (terapia caldo-freddo, massaggio, bagni curativi). Esistono inoltre misure alternative come attività fisica, meditazione e attenzione, e anche agopuntura.

PD Dr. med. David Benninger, marzo 2020

Mia suocera ha ricevuto la diagnosi di Parkinson a 56 anni. Anche uno dei suoi fratelli aveva il Parkinson. Mio marito vive con il Parkinson da quando aveva 44 anni. Ora i nostri due figli temono di subire la stessa sorte. Quanto è alta la probabilità?

Nella genetica della malattia di Parkinson esistono sia alterazioni che rappresentano solo un fattore di rischio per la patologia, sia alterazioni che invece si comportano come in una malattia ereditaria. Se il Parkinson esordisce prima dei 40 anni, la forma ereditaria è possibile, ma ancora improbabile. Se inizia prima dei 30 anni, la probabilità aumenta, per raggiungere addirittura il 50% se ci si ammala prima dei 21 anni. Altrimenti il Parkinson non è considerato una malattia ereditaria. Una forma ereditaria del Parkinson è sicuramente possibile, ma non ancora dimostrata.

Consiglio una consulenza genetica e un test per la ricerca dei geni dominanti ereditabili (soprattutto LRRK2, VPS35) presso suo marito. Se dovesse risultare una mutazione di uno di questi geni, il rischio di ammalarsi dei suoi figli potrebbe essere precisato, e magari anche testato.

Dr. med. Georg Kägi, marzo 2016

Quali esami comprendono le impegnative indagini genetiche volte a verificare l’ereditarietà del Parkinson? Io, donna, ho il Parkinson e vorrei stabilire se anche i miei figli rischiano di ammalarsi.

Sono note solo alcune alterazioni nel patrimonio genetico in caso di ereditarietà familiare. Un accertamento genetico appare quindi sensato soltanto in caso di esordio precoce della malattia (prima dei 45 anni) o di una particolare frequenza familiare. La decisione di procedere a test genetici è seguita da un colloquio con un genetista, con il quale si discute anche l’impatto di un eventuale risultato positivo sugli altri membri della famiglia – in questo caso i suoi figli – soprattutto se sono adulti e desiderano avere figli.

Da un punto di vista globale, la genetica ha contribuito in misura significativa a una migliore comprensione del Parkinson. L’analisi genetica potrà forse rispondere solo in parte alle domande che lei si pone quale persona affetta, ma è altresì vero che la ricerca in questo campo può avvenire solo grazie alla disponibilità personale dei parkinsoniani e delle loro famiglie.

PD Dr. med. David Benninger

Nonostante la mia terapia farmacologica ben calibrata, ho difficoltà a svolgere diverse attività manuali assolutamente banali (ad es. abbottonare la camicia, usare la tastiera del telefonino). Esistono esercizi specifici per migliorare la motricità fine?

Il trattamento dopaminergico è indubbiamente la terapia giusta. Esso agisce in maniera mirata sui sintomi motori cardinali del Parkinson, come il rallentamento dei movimenti (bradicinesia), la rigidità e il tremore. Tuttavia la terapia farmacologica non è sempre sufficiente per eliminare i disturbi della motricità fine, e questo tanto sul lato del corpo meno toccato, quanto su quello più colpito.

Nell’ergoterapia, le difficoltà connesse alla motricità fine a cui sono confrontate le persone con Parkinson nella vita di ogni giorno vengono analizzate e trattate. Durante la valutazione si misura la forza delle mani e si verifica in quale misura sono presenti i movimenti fini alternati e coordinati delle dita. Sulla scorta di questa analisi, l’ergoterapista può insegnare esercizi specifici che i pazienti potranno poi eseguire anche a casa. Il graduale rimpicciolimento della calligrafia (micrografia) – che è caratteristico della malattia di Parkinson – può essere contrastato avvalendosi di speciali ausili visivi (linee divergenti su un foglio di carta). Esistono inoltre diversi mezzi ausiliari che possono facilitare la vita quotidiana.

Dr. phil. Tim Vanbellingen, settembre 2015

Di notte, e soprattutto nelle prime ore del mattino, ho molta difficoltà a girarmi nel letto. Inoltre a volte non riesco nemmeno ad alzarmi. Cosa mi consiglia?

Ne parli con il suo neurologo. Ottimizzando la sua terapia, probabilmente si può migliorare notevolmente la situazione. Numerosi malati di Parkinson riferiscono che di notte la loro mobilità si riduce. Questa evoluzione si spiega con la continua diminuzione del livello di farmaco che si verifica col passare delle ore. Per ovviare a questo problema si potrebbe ad esempio introdurre nella terapia una dose di un farmaco retard da assumere la sera tardi.Provi inoltre a indossare un pigiama di seta: la seta scivola molto di più. Un altro mezzo ausiliare che consente di aumentare la mobilità a letto è un telo realizzato con un doppio strato di materiale particolarmente scivoloso: questo «telo per transfert» è disponibile presso Parkinson Svizzera. In aggiunta a ciò, può rivelarsi molto utile anche un ausilio per alzarsi dal letto, sotto forma di un supporto da agganciare alla sponda del letto.Si eserciti a girarsi nel letto nelle fasi di buona mobilità. La/il suo fisioterapista le può dare preziosi consigli a questo proposito. Molto utile è anche il corso «Muoversi adeguatamente con Kinaesthetics» proposto da Parkinson Svizzera.

Elisabeth Oster, Parkinson Nurse, August 2020

Riguardo al Parkinson si parla ripetutamente di ergoterapia. Cos’è esattamente e che beneficio può portare?

L’ergoterapia vuole, tramite attività mirate ed esercizi appropriati, raggiungere il miglioramento di diverse funzioni, principalmente motorie, eventualmente anche il sollievo dei dolori. Le ergoterapiste diplomate sono esperte per le attività quotidiane. Esse analizzano le attività e il tipo di impedimento dei pazienti nella quotidianità, stabiliscono le attività in base alle funzioni rimaste intatte e allenano l’esecuozione delle azioni. Secondo le necessità sostengono queste attività tramite l’adattamento dell’ambiente (sedie, tavoli, utensili di lavoro, letto, ecc.) e/o mezzi ausiliari specifici.

Tramite l’introduzione di diversi concetti di trattamento, sulla base neuropsicologica, neurofisiologica  e/o psicosociale e con l’uso di tecniche manuali, creative o anche  ludiche, vengono incentivati pazienti di tutte le età. Tramite il miglioramento, il ristabilimento o la compensazione delle facoltà danneggiate, il paziente dovrebbe poter raggiungere possibilmente una grande autonomia e libertà di azione (p. es. allenamento nel lavarsi e nel vestirsi in pazienti che hanno avuto un colpo apoplettico o l’incremento della presa di coscienza nei bambini ritardati nello sviluppo). Anche nei pazienti di Parkinson, tramite esercizi terapeutici specifici, può  venir ridotto l’impedimento, molto diverso da individuo a individuo.

Prof. Dr. med. Mathias Sturzenegger (archivio Parkinson Svizzera)

Ho il Parkinson da oltre dieci anni e prendo il Madopar® (200/50 mg tre volte al giorno). Fino a poco tempo fa non avevo disturbi ed ero in grado di lavorare. Ultimamente si è però verificato un peggioramento: a volte non riesco a muovermi, poi soffro di discinesie e non riesco a stare fermo. Il mio medico sta pensando di darmi un agonista, ma io temo gli effetti collaterali.

Nel corso della malattia di Parkinson, nelle cellule nervose (neuroni) diminuisce la capacità di immagazzinare il neurotrasmettitore dopamina. Ciò significa che dopo l'assunzione del Madopar® la dopamina viene sì prodotta, però spesso non viene rilasciata come richiesto. Un rilascio troppo intenso può provocare ipercinesie, mentre una minore capacità d’immagazzinamento può causare dei blocchi (si tratta delle cosiddette fluttuazioni motorie). In questa situazione, ci sono essenzialmente due possibilità: nel primo caso, si aumenta il numero di assunzioni di Madopar ® ed eventualmente si riducono leggermente le singole dosi. Nel secondo caso, la terapia viene completata con un agonista a lunga durata d'azione (che imita l'effetto del Madopar®). Anche in questo caso occorre verificare se la dose di Madopar® può essere ridotta.

Prof. Dr. med. Ulrich Roelcke, marzo 2022

Io prendo il Madopar®. Recentemente, a causa di un problema di muco sulle corde vocali, il medico mi ha prescritto anche l’Akineton®, ed effettivamente riesco a parlare meglio. Un altro medico mi consiglia però di smettere subito di prendere l’Akineton® perché favorirebbe l’insorgenza della demenza. È vero?

L’Akineton® (biperidene) è un cosiddetto anticolinergico, impiegato nella malattia di Parkinson soprattutto contro il tremore. Occasionalmente questo farmaco può provocare effetti collaterali quali disturbi della memoria o della concentrazione, che però regrediscono dopo la sua sospensione. Per questa ragione, se lei sopporta bene questo medicamento può continuare a prenderlo. Qualora dovessero comparire disturbi della memoria o della concentrazione, sarebbe opportuno sottoporsi a un controllo del decorso presso il suo neurologo, il quale può stabilire insieme a lei se è il caso di sospendere il farmaco.

Dr. med. Ines Debove, dicembre 2019

I farmaci possono provocare allucinazioni (soprattutto di notte)?

È una domanda alla quale possiamo ten­denzialmente rispondere di sì. Esistono però notevoli differenze tra le varie tipolo­gie di farmaco. Gli anticolinergici (biperi­dene), gli agonisti dopaminergici (prami­pexolo, ropinirolo) e l’amantadina hanno un potenziale allucinogeno molto più ele­vato rispetto alla levodopa. Le allucinazio­ni di solito si concentrano durante la notte e spesso sono di natura visiva. Più preci­samente, si vedono oggetti, ombre o addi­rittura persone che non esistono o in ogni caso che non sono presenti in quel mo­mento. La strategia terapeutica consiste innanzitutto nel sostituire i farmaci in que­stione con la levodopa e nel verificare se non vengono assunti anche altri farmaci in grado di provocare o rafforzare le allucina­zioni. Oltre a questo, può giovare dormire in una stanza non troppo scura.

PD Dr. med. Georg Kägi, Dezember 2022

Esiste un farmaco antiparkinsoniano che deve essere assunto una sola volta al giorno?

Ci sono diversi farmaci che vanno assunti una sola volta al giorno. Essi appartengono al gruppo dei dopamino agonisti e al gruppo degli inibitori delle monoaminossidasi (inibitori delle MAO). I dopamino agonisti imitano e sostengono l’azione della dopamina agendo sui neuroni postsinaptici muniti di recettori della dopamina. Nell’azione dopaminergica, gli agonisti sono però generalmente più deboli rispetto, ad esempio, al Madopar, e spesso provocano più effetti secondari.

Sono farmaci di questo gruppo il Sifrol®, il Requip® e il cerotto Neupro®. Gli inibitori delle MAO invece frenano la decomposizione della dopamina nella fessura sinaptica (ovvero nello spazio esistente tra le cellule che producono e inviano il neurotrasmettitore dopamina e le cellule che ricevono la dopamina). In questo modo si rafforza l’azione della dopamina. Rientrano in questo gruppo i farmaci Azilect® e Xadago®.

Prof. Dr. med. Ulrich Roelcke, dicembre 2018

Come agisce l‘Azilect? Stando a un forum Internet, questo farmaco è caro. Si potrebbe sostituirlo con la selegilina? E dov’è disponibile quest‘ultima?

L‘Azilect® contiene il principio attivo rasagilina, che prolunga l’effetto della L-dopa (nel Madopar® o nel Sinemet®). Inoltre svolge anche una propria azione, seppur leggera, sui sintomi del Parkinson. La rasagilina è impiegata come complemento quando l’effetto della L-dopa diminuisce, cioè se compaiono variazioni dell’efficacia (wearing-off). Nella fase iniziale, se i sintomi del Parkinson sono ancora modesti, la rasagilina può anche essere somministrata come farmaco unico. È stato appurato che così facendo si può ritardare la necessità di assumere altri farmaci, che solitamente compare dopo 1-2 anni. La rasagilina e la selegilina appartengono allo stesso gruppo di farmaci, i cosiddetti inibitori delle MAO-B, che frenano la degradazione della dopamina. Il loro effetto è quindi simile. Tuttavia la selegilina produce dei metaboliti che hanno effetti analoghi a quelli dell’anfetamina, per cui potenzialmente può causare più effetti secondari (ad es. allucinazioni visive). È meno indicata per i parkinsoniani con limitazioni cognitive. La rasagilina può essere sostituita con la selegilina? Questa domanda è ormai superflua, poiché dal 2016 la selegilina (Jumexal®) non è più in commercio in Svizzera.

Prof. Dr. med. Stephan Bohlhalter, marzo 2018

Sono un uomo di 73 anni e ho il Parkinson da 14 anni. Da un po’ di tempo cado spesso. Ciò potrebbe essere dovuto a un aumento del dosaggio del Rivotril®?

Non è facile rispondere a questa domanda. Dopo 14 anni di Parkinson purtroppo le cadute non sono un evento inconsueto. Ciò nonostante, per valutare precisamente la situazione occorre porre due domande importanti: 1. In quale fase si verificano le cadute? Nella fase ON – ossia quando i farmaci agiscono bene – oppure nella fase OFF? 2. Le cadute avvengono nel contesto di un episodio di freezing (blocco motorio) o di una festinazione (accelerazione involontaria dell’andatura), oppure indipendentemente da ciò? Se le cadute si verificano nella fase ON e indipendentemente da fenomeni di freezing/festinazione, probabilmente sono imputabili a un’alterazione del controllo posturale. In altre parole, i riflessi automatici che normalmente ci proteggono dalle cadute non sono più abbastanza veloci e precisi. Il trattamento di questa situazione è molto difficile, e gli sforzi si devono concentrare soprattutto sulla prevenzione delle cadute con l’ausilio della fisioterapia e di mezzi ausiliari. Se invece le cadute avvengono nella fase OFF o nel contesto di episodi di freezing, si possono ottenere dei miglioramenti adeguando la terapia.

Presumo che lei assuma il Rivotril® alla sera poiché soffre di uno specifico disturbo del sonno (disturbo del comportamento in fase REM). Nella maggior parte dei casi, per il trattamento di questo disturbo basta una dose molto piccola che di regola non ha alcun influsso rilevante sul rischio di caduta. Nel suo caso è però importante stabilire se esiste un nesso tra l’inizio della terapia con Rivotril® e le cadute. Se lei cade più spesso da quando prende il Rivotril®, oppure da quando ha aumentato la dose, è possibile che questo sia un fattore che si ripercuote negativamente sul rischio di caduta. Per il Rivotril® vale indubbiamente la regola d’oro «quanto basta, ma meno possibile». Se il Rivotril® non le è stato prescritto per un disturbo del comportamento in fase REM, le converrebbe provare a smettere di prenderlo.   

PD Dr. med. Georg Kägi, luglio 2020

Può darsi che alcuni farmaci (p.es. Xadago®, Madopar®, Requip®) provochino disturbi circolatori, specialmente alle dita?

In rari casi i disturbi circolatori, in particolare a livello delle dita, possono essere dovuti all’assunzione di medicinali antiparkinsoniani. Poiché agiscono nel sistema nervoso periferico, alcuni farmaci possono provocare un restringimento dei vasi sanguigni e di conseguenza avere un effetto sull’irrorazione periferica. La riduzione del flusso di sangue nelle dita può causare una colorazione anomala temporanea (dita bluastre o violacee), accompagnata in rari casi da una sensazione fastidiosa, come un formicolio.

Se compaiono sintomi di questo tipo dopo l’assunzione dei farmaci antiparkinsoniani, è bene rivolgersi al proprio medico. Può darsi che sia necessario cambiare il dosaggio o il tipo di farmaco. È inoltre importante esaminare eventuali altre cause possibili dei disturbi circolatori, come un’arteriopatia obliterante periferica o la cosiddetta sindrome di Raynaud. Sono patologie che possono presentare sintomi analoghi.

Dr. med. Andreas Diamantaras, luglio 2023

Se soffro di Parkinson, posso assumere analgesici per lenire i miei dolori? Ho sentito dire che gli analgesici riducono l’efficacia dei farmaci somministrati ai parkinsoniani.

La questione dei dolori in caso di Parkinson è complessa. In linea di principio, non si tratta di una malattia dolorosa. Eppure, succede che si manifestino dolori muscolari come i crampi, distonie mattutine a livello delle dita dei piedi oppure la restless legs syndrome (sindrome delle gambe senza riposo). È inoltre possibile che il Parkinon insorga in concomitanza con altre patologie non rare a una certa età e che provocano dolori. Pensiamo ai reumatismi nelle articolazioni oppure nella colonna vertebrale. È interessante constatare che l’assunzione di farmaci a base di levodopa spesso ha un effetto sui dolori: essi sono forti durante le fasi off, ma diminuiscono o spariscono completamente nelle fasi on.

La terapia a base di farmaci, mediante pompe o con la stimolazione cerebrale profonda permette di stabilizzare i sintomi e lenire efficacemente i dolori. Per concludere, posso confermare che determinati antidolorifici in effetti possono esercitare un influsso negativo sui sintomi del Parkinson. È soprattutto il caso degli oppiacei, che sono espressamente controindicati in caso di somministrazione di inibitori delle MAO-B (p.es. l’Azilect) o di anticolinergici (p.es. l’Akineton). Per il resto, assumere i comuni antidolorifici come il paracetamolo o i FANS non causa problemi.

Prof. Dr. med. Pierre Burkhard, luglio 2016

A causa delle mie gambe senza riposo devo prendere il Sifrol®. Ora dovrei assumere anche il Saroten® per alleviare i disturbi del sonno. Posso farlo senza timori?

Entrambi i farmaci possono rinforzare reciprocamente la loro azione sedativa. Se si rende necessaria questa combinazione, bisogna iniziare con il dosaggio minimo possibile e controllare se compare una forte stanchezza: in questo caso, conviene prendere in considerazione un’altra strategia farmacologica.

Prof. Dr. med. Ulrich Roelcke, dicembre 2018

L’effetto dei medicinali può venire alterato se le pastiglie vengono tolte dall’imballaggio originale, spezzate, messe in un portapillole e usate solo dopo una settimana?
E bisogna manipolarle usando i guanti?

A seconda del tipo di farmaco, le indicazioni di uso e di conservazione possono variare parecchio. Ci sono inoltre pillole difficili da spezzare. In genere le pastiglie di levodopa (come il Madopar ) si spezzano facilmente e in linea di massima non occorre adottare precauzioni specifiche.

Anche la conservazione in un dosatore settimanale non pone problemi particolari. Il problema di spezzare le pastiglie è che si rischia di distribuirne il principio attivo in parti non del tutto uguali. La frantumazione può inoltre avere un influsso sul tempo di rilascio del principio attivo. Eppure spesso vengono prescritte dosi parziali di un farmaco, per cui occorre per forza spezzare le pastiglie. Dove bisogna prestare attenzione è con la levodopa ad azione rapida da dissolvere in acqua (p.es. Madopar Liq): una volta dissolta, la levodopa contenuta nella compressa effervescente non deve essere esposta alla luce (in particolare solare) per più di 15 minuti. Ne va della sua efficacia. Il medicamento va quindi assunto subito. Tuttavia, poiché di principi attivi ne esistono davvero tanti, in caso di dubbio consiglio di chiedere informazioni in farmacia, dove potranno dirvi come conservare i farmaci e quali pillole possono essere spezzate.

Dr. med. Tobias Piroth, marzo 2023

Quanto dura l’effetto del Madopar® DR 250 mg? Sul foglietto illustrativo non ci sono indicazioni concrete.

La sua è una domanda molto interessante e importante. Una risposta chiara potrebbe aiutare a stabilire esattamente l’intervallo di somministrazione (ossia il tempo che trascorre tra due dosi del farmaco). Tuttavia è impossibile fornire una risposta univoca, e ciò per vari motivi.

1. L’effetto deve essere svolto dalla levodopa (componente del Madopar) nel cervello, dove essa sostituisce il  neurotrasmettitore dopamina, carente nel Parkinson.

2. Il farmaco (compressa o capsula) deve anzitutto sciogliersi nello stomaco ed essere poi trasportato nell’intestino tenue (svuotamento gastrico).

3. A questo punto esso passa nel sangue attraverso la parete intestinale.

4. In seguito deve superare la barriera emato-encefalica per giungere nel tessuto cerebrale.

5. Solo quando arriva nelle cellule nervose la levodopa (cioè il farmaco) si trasforma nella sostanza attiva vera e propria, ovvero la dopamina.

Insomma: sono almeno cinque i processi che determinano quanta della sostanza somministrata giunge nel punto del cervello in cui deve agire, e quanto rapidamente – e per quanto tempo – esplica il suo effetto. Inoltre questi processi variano da un paziente all’altro e non sono misurabili. Il meccanismo di svuotamento gastrico, ad esempio, è un processo complesso, diviso in diverse fasi, che cambia a dipendenza di fattori quali l’età, il peso, il sesso, la posizione del corpo, il tipo di cibo e i farmaci assunti in associazione. Ne consegue che è quasi impossibile stimare la frequenza e la durata dello svuotamento gastrico di un paziente.

Lo svuotamento gastrico rappresenta però un fattore decisivo ai fni della durata d’azione ad es. del Madopar: se il farmaco rimane a lungo nello stomaco non può agire, indipendentemente dal fatto che venga assunto come preparato normale o retard (DR). Come se non bastasse, nella malattia di Parkinson lo svuotamento gastrico è rallentato: stando a uno studio, nei pazienti a uno stadio precoce della malattia occorrono mediamente 85 minuti prima che metà di un pasto standard sia transitata dallo stomaco. Nelle persone sane bastano 43 minuti, nello stadio avanzato della malattia di Parkinson ce ne vogliono 220.

La durata d’azione e la velocità di inizio dell’azione devono quindi essere osservate individualmente per ciascun paziente, per poi stabilire gli intervalli di somministrazione. Inoltre si raccomanda di assumere i farmaci circa 45 minuti  prima dei pasti e di evitare di combinarli con cibi ricchi di proteine o di grassi. Questo perché   qualsiasi alimento, e a maggior ragione quelli grassi o proteici, rallenta l’assorbimento del farmaco nell’organismo.

Prof. Dr. med. Mathias Sturzenegger, settembre 2018

Convivo con il Parkinson da 18 anni e recentemente ho sentito parlare di un nuovo farmaco chiamato Ongentys®. Come funziona?

Ongentys® (il cui principio attivo è l’opicapone) è un inibitore delle COMT di terza generazione. Consente di abbassare la velocità di degradazione periferica della levodopa e di conseguenza ne rafforza l’effetto. Così si riducono le fasi off e si allungano quelle on. In Svizzera, per i pazienti parkinsoniani con fluttuazioni motorie di fine dose sono omologate capsule di Ongentys® da 50 mg come terapia aggiuntiva alla combinazione fissa di levodopa e inibitori della decarbossilasi. L’Ongentys ® va assunto una volta sola al giorno (al momento di coricarsi, un’ora prima o dopo la levodopa).

Dr. med. Helene Lisitchkina, dicembre 2021

Ho una domanda a proposito dell’articolo «Prevalenza della malattia di Parkinson» (rivista Parkinson n. 132, p. 39, rubrica Ricerca). Quali sono i farmaci che, stando allo studio, causano il 43,4% dei parkinsonismi non degenerativi?

Lo sviluppo di sintomi parkinsoniani è riconducibile a diversi gruppi di farmaci. Quelli che causano più spesso e con maggiore intensità sintomi di questo tipo sono i cosiddetti neurolettici. Di regola questi farmaci sono utilizzati per le psicosi e le allucinazioni in presenza di malattie psichiatriche come la schizofrenia, ma non di rado vengono somministrati anche ad anziani residenti in case di cura allo scopo di calmarli. I neurolettici sono contenuti pure in diversi ansiolitici (ad es. Deanxit®). Fatta eccezione per i due principi attivi clozapina e quetiapina, i neurolettici vanno evitati in caso di Parkinson: essi possono infatti aggravare i sintomi parkinsoniani per settimane, ossia fino a quando i recettori dopaminergici bloccati si rigenerano.

Un altro gruppo di farmaci in grado di provocare sintomi parkinsoniani è quello dei rimedi contro le vertigini. Per finire, bisogna tenere conto di questo effetto secondario anche nel caso di farmaci antinausea (ad es. Metoclopramid) e antiepilettici (ad es. Valproat).

Prof. Dr. med. Stephan Bohlhalter, luglio 2019

Soffro del morbo di Parkinson da 13 anni e fino ad ora, l’assunzione di Madopar® (3 volte al giorno 200/50) mi ha permesso di non sentire dolore ed essere in grado di lavorare. Ultimamente, le mie condizioni sono peggiorate: a volte non riesco a muovermi, faccio movimenti involontari e non sono in grado di stare seduto e fermo. Il mio
medico mi ha suggerito di assumere un agonista. Ma ho paura degli effetti collaterali. Cosa farebbe al mio posto?

Le fluttuazioni che Lei descrive sono sintomi comuni della malattia di Parkinson. Sono legate a un cambiamento nell’efficienza del trattamento nel tempo. Si deve cercare di attenuare queste fluttuazioni. Un’opzione è quella di frazionare i trattamenti: assumere i farmaci più spesso durante il giorno, ma in dosi più basse. Questo aiuta ad evitare: 1) dei picchi delle dosi di levodopa (che in generale sono legati ai movimenti involontari), e 2) i momenti in cui i farmaci non sono abbastanza efficaci (legati alle difficoltà di movimento). Se il frazionamento non è sufficiente, si possono aggiungere altre molecole per prolungare l’efficacia della levodopa. Gli agonisti dopaminergici rientrano in questo tipo di strategia.

Gli effetti collaterali dovrebbero essere discussi al momento della loro introduzione. Se preferisce evitare questo tipo di molecole, il suo neurologo può suggerirle delle alternative. 

Infine, i cosiddetti trattamenti «complessi» come la stimolazione cerebrale profonda o le pompe (Duodopa, apomorfina) che possono ridurre drasticamente le fluttuazioni.

Dr. med. André Zacharia, Rivista 02/2022

Esiste un nesso tra l’assunzione di Madopar® e Sequase? C’è un collegamento con gli stati confusionali e le allucinazioni? I due farmaci vanno presi insieme, oppure c’è anche un’altra possibilità?

Solitamente la levodopa, ad es. il Madopar ®, è un farmaco ben tollerato. Il raggiungimento della dose ottimale deve avvenire lentamente per evitare effetti collaterali. Negli stadi avanzati della malattia e in caso di dosaggi elevati, quali effetti econdari possono comparire allucinazioni o altre forme di disturbi psicotici. La riduzione del dosaggio di levodopa è raramente possibile, poiché provocherebbe una netta esacerbazione dei sintomi parkinsoniani. Per alleviare, o addirittura eliminare, gli effetti secondari si rendono necessari farmaci supplementari, ovvero i neurolettici atipici quetiapina e clozapina. La quetiapina (Sequase) può attenuare le allucinazioni, però l’unico farmaco autorizzato ufficialmente per trattare le allucinazioni associate alla malattia di Parkinson è la clozapina. Quest’ultima è sì efficace, però presenta un effetto secondario raro e pericoloso: si tratta della cosiddetta agranulocitosi, una condizione caratterizzata da una grave e relativamente improvvisa riduzione dei globuli bianchi, che si manifesta ad es. con la comparsa di febbre. Per questa ragione, dapprima a ritmo settimanale e in seguito a intervalli di diversi mesi, occorre sottoporsi ad analisi del sangue e a un esame del quadro ematologico differenziale. Questo farmaco è molto efficace nei pazienti parkinsoniani.

Dr. med. Stefan Hägele, giugno 2021

Presto andrò al mare e porterò con me i seguenti farmaci: Madopar, Stalevo, Trittico, Zoloft, Sifrol. Mi può consigliare un rimedio contro il mal di mare che vada d’accordo con le mie medicine?

Il domperidone (Motilium®) è un farmaco adatto a combattere i disturbi causati dal mal di mare. Il Motilium® può essere utilizzato con buoni risultati anche contro i disturbi gastrici causati dal Parkinson (senso di sazietà, eruttazione, flatulenza) a prescindere dal viaggio sul mare. Esso può essere combinato senza problemi con i farmaci antiparkinsoniani. Come effetto secondario, può provocare stanchezza. Questo sarebbe da considerare ad es. se si guida l’auto, ma non quando si va a spasso sul mare.

Prof. Dr. med. Mathias Sturzenegger, settembre 2018

I farmaci usati per il Parkinson possono avere effetti nefasti sulla memoria?

In linea di massima le terapie farmacologi­che per il Parkinson non agiscono in modo negativo sulle capacità mnemoni­che. Se però si verificano stati confusionali o allucinazioni, può darsi che i farmaci li intensifichino, cosa che può a sua volta incidere sulla memoria. Un caso specifico sono i medicinali con una forte azione anticolinergica come l’Akineton . Essi bloccano la trasmissione di segnali nervo­si importanti per la memoria, che quindi ne risente. Ma proprio per questo motivo vengono utilizzati solo di rado.

PD Dr. med. Georg Kägi, dicembre 2022

Nella rivista Parkinson n.113 (marzo 2014, da pagina 40) sotto il titolo «Parkinson sintomatico» sono elencate diverse sindromi di Parkinson, fra cui anche il Parkinson farmaco-indotto, causato da specifiche sostanze chimiche. Di quali sostanze si tratta?

Le sostanze che possono cagionare sintomi parkinsoniani sono principalmente quelle che bloccano i recettori della dopamina. Nella maggior parte dei casi, appartengono al gruppo dei cosiddetti neurolettici utilizzati in caso di malattie psichiatriche (psicosi, allucinazioni). Tuttavia anche i farmaci usati contro la nausea e il mal di viaggio possono svolgere un’azione inibitrice sulla dopamina, provocando sintomi parkinsoniani. Per le persone con Parkinson è importante sapere che in caso di allucinazioni visive sono consentiti due farmaci, la quetiapina (ad es. Sequase®) e la clozapina (Leponex®) che, grazie alla loro azione mirata, non influiscono sui sintomi del Parkinson. In caso di nausea si può inoltre ricorrere al domperidone (Motilium®) o all‘ondansetrone (Zofran®), che non agiscono nel sistema nervoso centrale, rispettivamente hanno un meccanismo d’azione indipendente dalla dopamina.

Prof. Dr. med. Stephan Bohlhalter, Marzo 2018

I medicinali per il Parkinson possono fare cadere i capelli, in particolare nell’area della fronte, anche quando per il resto la crescita capillare è normale?

Le ricerche non hanno finora portato a risultati definitivi, ma alcune persone la­mentano questo problema nel corso della malattia. Solitamente non si riscontra una correlazione diretta con l’assunzione di un nuovo farmaco. Nella letteratura scientifi­ca si trovano pochi dati al riguardo. I primi due casi riportati sono del 1971: poco dopo aver cominciato il trattamento con la levodopa, queste persone hanno con­statato una notevole perdita di capelli, ma assumevano dosi molto elevate di L-Dopa (rispettivamente 3 grammi e 2,5 grammi al giorno). Sono stati rilevati anche casi riconducibili agli agonisti dopaminergici, ma non sono mai stati studiati a fondo. È inoltre stato riportato qualche caso in cui i capelli sono ricresciuti in seguito alla stimolazione cerebrale profonda e alla riduzione dei farmaci.

PD Dr. med. Georg Kägi, Dezember 2022

La malattia di Parkinson mi è stata diagnosticata quasi due anni fa. Ora leggo spesso quanto è importante la diagnosi precoce. In occasione della prima visita, il mio neurologo mi ha suggerito di iniziare una terapia. Quando ha visto che esitavo, mi ha detto che potevo anche lasciar perdere, tanto c’era tempo. Non sto ancora assumendo alcun farmaco, e per ora ho solo un leggero tremore alla mano destra. Un recente test dal neurologo non ha evidenziato grandi cambiamenti rispetto al momento della diagnosi. Il medico dice che sta a me decidere quando cominciare la terapia. Sono molto insicuro sul da farsi.

La diagnosi precoce della malattia di Parkinson non ha sempre conseguenze terapeutiche immediate. Per motivare l’inizio di una terapia antiparkinsoniana, è importante chiarire i sintomi interrogando la persona affetta e svolgendo un esame fisico neurologico. Se si riscontrano segni evidenti di tensioni muscolari, disturbi della mobilità o tremori, è opportuno iniziare una terapia. Se la/il paziente menziona disturbi di lieve entità che sono percettibili, sì, però non interferiscono realmente con la vita quotidiana, la somministrazione di farmaci può essere rimandata. In tal caso la relativa indicazione viene riesaminata nel decorso della malattia. In altre parole, la motivazione per avviare una terapia farmacologica dipende tanto dal punto di vista della persona affetta, ovvero da quanto pesano eventuali deficit nella vita quotidiana, quanto dai risultati dell'esame neurologico.

Prof. Dr. med. Ulrich Roelcke, marzo 2022

È necessario conservare in frigo i medicinali tenuti in un portapillole (medibox)?

In generale, i farmaci per il Parkinson non necessitano di refrigerazione, ma alcuni, in determinate situazioni, sì. Solitamente, a temperatura ambiente, la combinazione levodopa-carbidopa e levodopa-benserazid (Sinemet®, Madopar®) è stabile, ma può reagire se tenuta in condizioni umide. Conviene quindi conservare i farmaci in un luogo asciutto per evitare che si alterino a causa dell’umidità.

Il gel Duodopa®, che viene somministrato direttamente nell’intestino tenue dei pazienti mediante una pompa, è invece termosensibile, per cui va conservato in frigo a una temperatura compresa tra i 2 °C e gli 8 °C. Evitate di tenere il gel nello scomparto del ghiaccio, poiché l’efficacia del farmaco potrebbe venire compromessa. I medicinali tolti dall’imballaggio originale e inseriti in un portapillole devono essere protetti dalla luce e dal calore. È una regola che vale per qualsiasi farmaco. È comunque sempre consigliabile seguire le indicazioni specifiche riportate nell’imballaggio o fornite dal medico o farmacista. In questo modo si avrà la certezza che i farmaci per il Parkinson saranno conservati correttamente.

Dr. med. Andreas Diamantaras, luglio 2023

Dalle analisi di impiego è scaturito che mia moglie non risponde alla dopamina, per cui le sue «cure» con il Madopar, e in seguito con lo Stalevo, non hanno sortito alcun effetto. Esiste un sostituto della dopamina?

Oltre alla dopamina esistono i dopamino-agonisti, che svolgono un’azione paragonabile. Essi sono consigliati principalmente per i pazienti giovani: questi ultimi tengono infatti a sviluppare più precocemente complicazioni motorie che nel caso degli agonisti compaiono invece più tardi. Di regola gli agonisti sono però meno efficaci della dopamina, richiedono un periodo d’introduzione più lungo e provocano più effetti collaterali, soprattutto di natura neuropsichiatrica. A lungo termine non si osservano differenze tra la dopamina e gli agonisti a riguardo del decorso della malattia e della qualità di vita.

La mancata risposta alla dopamina potrebbe costituire un indizio del fatto che sua moglie è affetta da un parkinsonismo atipico. Questa definizione include un gruppo di patologie neurodegenerative che all’esordio possono manifestarsi come una malattia di Parkinson classica, magari anche con una buona risposta alla dopamina che giustifica la diagnosi iniziale di Parkinson. In seguito il decorso è però spesso caratterizzato da un rapido peggioramento.

Relativamente presto compaiono disturbi dell’equilibrio e della marcia, come pure altri sintomi che rispondono solo in parte o per nulla alla dopamina, mettendo in dubbio la diagnosi. Per fare chiarezza può essere opportuna un’analisi del decorso svolta dal neurologo. Qualora la diagnosi di sospetto parkinsonismo atipico dovesse trovare conferma, purtroppo a parte la terapia con dopamina (se funziona) non esiste (ancora) alcuna terapia farmacologica alternativa.

È sicuramente utile una fisioterapia con esercizi per la deambulazione e per l’equilibrio, se del caso associata a una logopedia e a un’ergoterapia. Le attività fisiche e mentali, per quanto possibili, sono consigliate.

PD Dr. med. David Benninger, marzo 2020

Poiché quando sciavo mi sentivo sempre male, per una decina d’anni ogni inverno ho preso per circa 15 volte il farmaco Stugeron®. Nel 2009 mi è stato diagnosticato il Parkinson. In seguito ho letto sul foglio illustrativo che i malati di Parkinson non possono assumere questo farmaco. È colpa dello Stugeron® se sono stato colpito da questa malattia?

No, la cinnarizina (il principio attivo dello Stugeron®) non provoca la malattia di Parkinson. Però è vero che la cinnarizina può esacerbare i sintomi del Parkinson, poiché se da un canto svolge un’azione inibitoria sui canali del calcio, alleviando così le vertigini, dall’altro canto blocca anche i recettori della dopamina. Per questa ragione, la cinnarizina dovrebbe essere evitata da chi ha il Parkinson.

Prof. Dr. med. Stephan Bohlhalter, agosto 2020

La terapia con Madopar (125 mg la mattina, a mezzogiorno e la sera) mi ha provocato forti tensioni intorno alla bocca e difficolta nel parlare. Il mio neurologo mi ha proposto di provare un farmaco diverso. Conviene davvero fare un tentativo in questo senso?

Suppongo che i sintomi che lei menziona siano cosiddette discinesie o distonie orofacciali, ossia movimenti involontari e crampi che interessano i muscoli della bocca e del viso. Di conseguenza diventa piu difficile anche parlare. Sono sintomi tutto sommato rari, che si manifestano abbastanza presto dopo l'inizio di una terapia con Madopar e possono essere indizio di una sindrome di Parkinson atipico. <sistono diversi farmaci che possono essere prescritti in alternativa, ma anche la maggior parte di essi puo provocare sintomi simili.

Come procedere dipende da vari fattori. C'e un dosaggio a partire dal quale si manifestano le distonie orofacciali? Le tre pastiglie giornaliere di Madopar @AB migliorano i sintomi del Parkinson propriamente detti? Quanto tempo dopo l'assunzione del farmaco cominciano i sintomi indesiderati?

L'amantadina puo talvolta essere prescritta per mitigare le distonie orofacciali, ma non tutti la tollerano. In questa sede non e possibile stabilire se altri farmaci antiparkinsoniani, come gli agonisti dopaminergici o gli inibitori delle MDO-F, possano essere presi in considerazione. Occorre discuterne con il proprio neurologo.

Il prof. dr. med. Carsten Möller Clinica di riabilitazio- ne di Zihlschlacht, viceprimario, direttore del Centro Parkinson, marzo 2024

Ho 54 anni, e poco più di due anni fa mi è stato diagnosticato il Parkinson. Per adesso lavoro ancora al 100%, ma da un po’ di tempo al pomeriggio sono molto stanco e fatico a svolgere le mie mansioni professionali. Ho intenzione di dimezzare il tempo di lavoro, passando dal 100% al 50%: come devo procedere? A chi mi devo rivolgere? E cosa succede dal punto di vista finanziario?

Attenzione: non riduca il suo tempo di lavoro senza prima richiedere un certificato medico! Quale primo passo, dovrà discutere la sua capacità lavorativa con il medico curante. Per quest’ultimo sarà più facile valutare la situazione se lei gli descrive come e quando il Parkinson limita la sua prestazione lavorativa. Se il medico le attesta un’incapacità lavorativa parziale, consegni il certificato al suo datore di lavoro, il quale – se l’azienda dispone della relativa copertura – la annuncerà presso l’assicurazione di indennità giornaliera per malattia. Se l’incapacità lavorativa perdura, entro 6 mesi lei dovrebbe inoltrare una domanda di prestazione all’AI.

Le conseguenze finanziarie variano molto a dipendenza della situazione. Se lo desidera, può ottenere tutte le informazioni del caso nell’ambito di una consulenza individuale, durante la quale si prendono in esame i vari aspetti del Parkinson sul posto di lavoro e l’interazione delle diverse assicurazioni sociali.

Kilian Hefti, consulenza sociale e formazione Parkinson Svizzera, settembre 2019

A mia madre (60) è stato diagnosticato il Parkinson. Ha sempre lavorato a tempo pieno, attualmente a turni come impiegata. Il lavoro la stanca enormemente: lavora, dorme e basta. Come fanno gli altri malati attivi professionalmente? Esiste una protezione contro il licenziamento per i parkinsoniani che lavorano?

Questa grande stanchezza affligge molte persone con Parkinson. Spesso ci dicono: «Riesco ancora a fare tutto, ma tutto insieme non va più.» È importante parlarne con il medico curante, anche per escludere che la stanchezza sia imputabile a un problema medico diverso dal Parkinson, come ad esempio i disturbi del sonno. Sovente un’accresciuta stanchezza rappresenta però un sintomo precoce della malattia di Parkinson: per svolgere lo stesso lavoro, le persone affette impiegano molta più energia. La carenza di dopamina causa una limitazione e un rallentamento dei movimenti automatici, che ora devono essere eseguiti in modo più consapevole. In altre parole, come affermano spesso i parkinsoniani: «Mi devo concentrare di più per compiere movimenti semplicissimi.»

Lei dice che sua mamma ormai non fa altro che lavorare e dormire. Ciò è allarmante: una situazione del genere può portare a un esaurimento dovuto al Parkinson e a un’improvvisa incapacità lavorativa al 100%. Molti parkinsoniani riescono a sottrarsi a questo rischio di esaurimento ricorrendo a un’incapacità lavorativa parziale: si tratta di una misura sensata che di regola viene certificata dal medico. Secondo me sarebbe opportuno analizzare la situazione nel quadro di una consulenza specialistica, durante la quale si discutono vari aspetti della protezione assicurativa.

Bisognerebbe inoltre chiarire come informare il datore di lavoro ed eventualmente i colleghi: ciò anche tenendo presente che non basta una diagnosi per essere protetti dal licenziamento. Una tutela parziale, sotto forma di protezione dal licenziamento in tempo inopportuno, esiste solo in caso di incapacità lavorativa attestata da un medico, ha una durata massima di 180 giorni ed è disciplinata nell’art. 336c del Codice delle obbligazioni.

Kilian Hefti, consulenza sociale e formazione Parkinson Svizzera, settembre 2019

Se si svolge una fisioterapia intensa, e se si pratica il Qi-Gong o altri sport è possibile evitare di assumere farmaci come il Madopar®?

La fisioterapia e il movimento in generale possono svolgere un influsso molto favorevole sui sintomi motori e non motori del Parkinson. L’obiettivo dell’esercizio fisico è di mantenere una qualità di vita soddisfacente, come pure prevenire varie complicanze e problematiche motorie e generali derivanti dalla malattia di Parkinson. L’esercizio fisico non è finalizzato a ridurre i farmaci antiparkinsoniani, che vanno invece adeguati alle condizioni cliniche soggettive e neurologiche del paziente. La quantità adeguata di Madopar, come di altri farmaci antiparkinsoniani, può garantire la mobilità necessaria per il corretto svolgimento degli esercizi fisici, che altrimenti sarebbe ostacolato dai sintomi della malattia, quali la rigidità o la bradicinesia.

Dr. med. Claudio Städler, luglio 2018

Quanto è importante il movimento regolare per una persona con il morbo di Parkinson? Ha un effetto positivo sull’efficacia dei medicamenti e aiuta a migliorare la mobilità?

Il movimento regolare giornaliero, meglio ancora, diverse volte a giorno (passeggiate, ginnastica, salire le scale, Nordic Walking ecc.), fanno parte delle misure più importanti della terapia «a lungo termine» nella malattia di Parkinson. Migliora la mobilità, previene le contrazioni dei muscoli, delle articolazioni e dei tendini, migliora la circolazione sanguigna, evita le trombosi e migliora l’elasticità della pelle. Infine, il movimento «libera e mette le ali» anche allo spirito. Probabilmente non ha un influsso diretto sull’efficacia dei medicamenti, ciò che però non diminuisce la sua importanza.

Prof. Dr. med. Mathias Sturzenegger (archivio Parkinson Svizzera)

Sono infermiera diplomata e assisto una malata di Parkinson che quasi tutti i giorni soffre di un forte crampo muscolare nella zona nuca/spalle che dura fino a 30 minuti. Quando accade, la paziente si sdraia, oppure appoggia la nuca su un cuscino stando seduta sulla sedia a rotelle. Lei afferma che queste posizioni le danno sollievo. Tuttavia si dice che «la pressione genera una pressione opposta», per cui mi chiedo se l’uso del cuscino è utile o controproducente?

I crampi muscolari fanno parte del quadro clinico di numerose persone con Parkinson e possono riguardare qualsiasi muscolo/gruppo di muscoli. I più frequenti sono appunto i crampi dolorosi nella zona della nuca e delle spalle. Se collocando il cuscino dietro la nuca, oppure facendo coricare la paziente, si riesce a ottenere una riduzione graduale del dolore, non c’è ragione di non ricorrere a queste soluzioni. Se il crampo, come lei spiega, non dura mai più di mezz’ora e se la manovra di alleggerimento con il cuscino funziona, io continuerei a fare esattamente così. Sovente il crampo (distonia) è espressione di un livello piuttosto basso di dopamina, e non di rado è seguito da una fase di movimenti eccessivi (discinesie).

Se ciò dovesse avvenire anche nel caso della sua paziente, consiglierei una visita dal neurologo per verificare e ottimizzare lo schema terapeutico. A tal fine, nei giorni precedenti la visita è opportuno compilare il Diario Parkinson (ottenibile gratuitamente presso Parkinson Svizzera). Consultando questo diario della mobilità da tenere per 1 o 2 settimane, il neurologo può capire come si presentano i sintomi in vari orari del giorno, e quindi adeguare la terapia sulla base di queste informazioni. Spesso i crampi dolorosi possono essere trattati con successo utilizzando farmaci antiparkinsoniani ad azione rapida – prescritti dal neurologo. A volte anche gli impacchi caldi danno buoni risultati. Potrebbe essere consigliabile pure una fisioterapia. Invece, gli analgesici convenzionali servono a poco o niente.

La visita dal neurologo sarebbe ancora più necessaria qualora i crampi dovessero protrarsi più a lungo, oppure comparire più volte al giorno!

Elisabeth Ostler, Parkinson Nurse, giugno 2020

Ho un amico (41 anni) la cui mamma si è ammalata di Parkinson più o meno a 60 anni. Ho notato che nella fase di addormentamento nelle gambe del mio amico si manifestano (forti) tensioni muscolari. Non si tratta di spasmi: i muscoli si tendono, si rilassano e si tendono di nuovo. Non succede tutte le notti, bensì quando è sotto stress. Non so se lui ne è consapevole, e non oso parlargliene. Potrebbe essere un’avvisaglia del Parkinson?

Quelli da lei descritti sono probabilmente cosiddetti movimenti periodici delle gambe nel sonno, che non hanno necessariamente a che fare con una malattia di Parkinson, mentre sono spesso associati alla sindrome delle gambe senza riposo (Restless legs, RLS), che è molto frequente e colpisce una certa percentuale di popolazione. Chieda al suo amico se quando è al cinema, oppure mentre guarda la televisione la sera, avverte il bisogno di muovere le gambe per scacciare una sensazione di tensione o altri disturbi della sensibilità. Anche questo sarebbe un sintomo tipico della RLS.

Viceversa il cosiddetto disturbo del comportamento nel sonno REM – un disturbo motorio tipicamente notturno – è invece  sovente imparentato con una sindrome di Parkinson. In questo caso, durante il sonno compaiono stati di irrequietezza: i pazienti si dibattono, gridano, ecc., e può persino capitare che cadano dal letto, anche se spesso al mattino non ricordano nulla. Ovviamente, ciò è molto fastidioso anche per la/il compagna/o di letto.

Dr. med. Matthias Oechsner, settembre 2016

Ho la PSP ed esiste un farmaco per curarla, è l’AZP2006. Potrei averlo? E dove?

La paralisi sopranucleare progressiva (PSP) è una malattia neurodegenerativa in cui l’accumulo di proteine anormali porta al danneggiamento di certi circuiti neurali che sono responsabili dei sintomi della malattia. Vi sono studi clinici che cercano di fermare l’accumulo di queste proteine. Attualmente, non esiste un farmaco in grado di curare la PSP.

Il farmaco «AZP2006» sarebbe un possibile trattamento promettente, secondo gli studi effettuati sugli animali. Esiste solo uno studio registrato (in Francia), in corso, che coinvolge 36 pazienti. Mette a confronto AZP2006 e placebo. Il suo scopo è quello di verificare la tolleranza e di fare misurazioni farmacologiche. Questi studi sono obbligatori per verificare la tolleranza e la sicurezza di qualsiasi nuovo composto chimico che possa trattare qualsiasi malattia. È quindi troppo presto, purtroppo, per offrirlo come trattamento della PSP.

Dr. med. André Zacharia, Rivista 02/2022

Recentemente a mio fratello (68) è stata diagnosticata una «MSA-C» e il medico gli ha detto che purtroppo si tratta di una malattia inguaribile. È vero? Cos’è esattamente la MSA-C? Cosa possiamo fare? Quali farmaci sono utili?

La sigla «MSA» sta per «Multiple System Atrophy», ovvero atrofia multisistemica  (tornerò dopo sulla «C» in «MSA-C»). Questa malattia colpisce diversi sistemi funzionali nel cervello, e ciò può essere all’origine di un gran numero di disturbi, che possono essere raggruppati in tre complessi di sintomi. Il primo è una cosiddetta sindrome di Parkinson «atipica»: contrariamente a quanto accade nella sindrome di Parkinson «tipica» (detta anche sindrome di Parkinson idiopatica, SPI), nel caso della MSA le limitazioni dei movimenti (acinesia) e la rigidità muscolare rispondono in maniera insoddisfacente ai farmaci usati abitualmente nella terapia antiparkinsoniana. Inoltre le cadute iniziano già nella fase precoce della malattia, e di regola la progressione dei sintomi è molto più rapida.

Il secondo complesso di sintomi comprende disturbi del sistema nervoso autonomo che possiamo influenzare solo in parte, o per nulla, mediante la volontà. Fra i molteplici sintomi possibili, cito solo i disturbi della regolazione della pressione sanguigna e della minzione. Normalmente quando ci si alza da una posizione distesa o seduta la pressione sanguigna diminuisce di poco. In questi pazienti, la regolazione è invece alterata: pertanto può verificarsi un crollo della pressione sanguigna che a sua volta può provocare vertigini e – nei casi estremi – perdita di coscienza. Il trattamento farmacologico di questa disregolazione comporta il rischio che in posizione distesa si manifesti un‘ipertensione. In una persona sana solitamente il bisogno di urinare può essere represso per un po‘ di tempo. Per i pazienti affetti da MSA questo diventa invece sempre più difficile, e col passare del tempo insorge un’incontinenza urinaria. Questi e altri disturbi autonomici possono presentarsi anche nella sindrome di Parkinson idiopatica, è vero, però si tratta quasi sempre di sintomi tardivi, mentre nella MSA essi compaiono già presto, a volte persino come primo segno della malattia.

Quale terzo complesso di sintomi vanno menzionati i disturbi della coordinazione dei movimenti e dell’equilibrio, imputabili prevalentemente a un coinvolgimento del cervelletto. L’intensità e l’ordine di apparizione di questi tre complessi di sintomi possono variare considerevolmente tra un paziente e l‘altro. In Europa, predomina il quadro sintomatico del Parkinson atipico: in questi casi si parla di «MSA-P». Nella forma denominata «MSA-C», molto più rara, prevalgono invece i sintomi cerebellari (lat. cerebellum = cervelletto). Per un esaminatore esperto, il quadro completo della patologia è facile da riconoscere. Negli stadi più precoci, invece, per formulare la diagnosi occorrono spesso diversi mesi d‘osservazione.

Sfortunatamente le nostre possibilità terapeutiche sono molto ristrette. E purtroppo è vero che questa malattia non è guaribile. A dipendenza dell’entità dei vari sintomi, bisogna cercare di controllarli nel modo migliore possibile.

Prof. Dr. med. Hans-Peter Ludin (archivio Parkinson Svizzera)

 

Mia moglie, 76, ha un parkinsonismo atipico. Non trema, però soffre di vertigini continue. Stenta a camminare e a salire le scale. Ha anche problemi agli occhi: è molto sensibile alla luce. Inoltre ha difficoltà a parlare: sa cosa vorrebbe dire, ma non riesce a pronunciare le parole. La sua qualità di vita è ormai molto bassa. Esce di casa solo se è accompagnata. Magari lei ci può dare un consiglio utile?

I parkinsonismi atipici sono difficilmente distinguibili dalla più frequente malattia di Parkinson (idiopatica). Nel Parkinson atipico, all’inizio della malattia la terapia antiparkinsoniana può avere un effetto positivo sul rallentamento dei movimenti (bradicinesia) e sulla rigidità, ma non sulla deambulazione incerta e sull’equilibrio. Tale efficacia va però persa man mano che la malattia progredisce. Il trattamento di un parkinsonismo atipico – che, come il Parkinson, è ancora inguaribile – resta pertanto una sfida. Un aiuto viene dalla riabilitazione.

La fisioterapia, e in particolare gli esercizi per la deambulazione e l’equilibrio, dà buoni risultati: può migliorare la mobilità e anche restituire un certo grado di autonomia, il che spesso serve a migliorare la qualità di vita. Lo stesso vale anche per un’attività sportiva regolare, adattata agli interessi e alle possibilità personali (ad es. in piscina in caso di tendenza a cadere). Il/la fisioterapista potrà darvi buoni consigli. Il moto ha effetti benefici anche sulle funzioni mentali. In caso di blocchi della marcia (freezing), esistono esercizi e strategie che aiutano a superarli. Molto utili sono anche gli ausili per la marcia, come il deambulatore. Purtroppo non è sempre possibile prevenire le cadute: per evitare ferite gravi, conviene indossare pantaloncini imbottiti «salva-anche». Un/una logopedista può migliorare il linguaggio e procurare degli ausili per la comunicazione. Inoltre è anche in grado di individuare e trattare precocemente eventuali disturbi della deglutizione. In caso di difficoltà di deglutizione, può essere utile impiantare una sonda gastrica.

Le vertigini possono avere diverse cause. Se il capogiro si manifesta soprattutto quando ci si alza ed è imputabile a ipotensione sanguigna, spesso è sufficiente bere abbastanza, mangiare cibi più salati e portare calze compressive. Se ciò non basta, si può prendere in considerazione una terapia farmacologica per sostenere la pressione sanguigna. In presenza di sensibilità alla luce, bisogna chiedersi a cos’è dovuta. Se si sospetta una malattia oculare, è necessaria una visita oftalmologica. Un consiglio pragmatico è quello di indossare gli occhiali da sole. Il vostro medico saprà consigliarvi in merito ad altre possibilità terapeutiche specifiche.  

PD Dr. med. David Benninger, Juli 2018

Mio fratello (60) soffre da un paio d’anni di un parkinsonismo atipico. Riesce ancora a camminare. Noi facciamo tutto il possibile per aiutarlo e rallentare il decorso della malattia. Esiste una possibilità che la terapia con cellule staminali sia efficace in caso di parkinsonismo atipico, soprattutto per quanto riguarda la motricità?

Sfortunatamente la letteratura scientifica non riporta evidenze chiare sul trattamento dei parkinsonismi atipici con cellule staminali. Nei casi pubblicati, spesso le testimonianze di efficacia terapeutica si basano solo su osservazioni soggettive e aneddotiche che non consentono di formulare giudizi conclusivi.

Dr. med. Claudio Städler, giugno 2018

Mio padre (68) si è recato dal neurologo poiché ultimamente cade spesso. Il medico dice che soffre di un «parkinsonismo atipico con sindrome di Shy Drager». Di cosa si tratta e come si distingue dal Parkinson «normale»?

In età avanzata le cadute sono frequenti e possono avere molte cause (cuore, circolazione, organo dell’equilibrio situato nell’orecchio interno, midollo spinale, nervi periferici e diverse malattie cerebrali, ad es. disturbi dell’irrorazione sanguigna). Le cadute rientrano nella sindrome di Parkinson nel senso più ampio del termine.

Noi distinguiamo tre tipi di sindrome di Parkinson:

  1. la sindrome idiopatica, ovvero la malattia di Parkinson
  2. una sindrome sintomatica, ad es. dovuta a intossicazione o a taluni farmaci
  3. un parkinsonismo atipico o «neurodegenerativo». 

Quest’ultima definizione abbraccia diversi quadri clinici nei quali sono colpiti senz’eccezione i neuroni dopaminergici, ragion per cui si manifesta una sintomatologia «simile a quella del Parkinson». Tuttavia si aggiungono anche altri disturbi! Fra questi, vanno citati ad esempio i forti sbalzi della pressione sanguigna con un marcato calo in posizione eretta, il che può essere all’origine di cadute. Questi e altri disturbi funzionali del sistema neurovegetativo contraddistinguono la sindrome di Shy Drager (detta anche MSA, atrofia multisistemica).

Chiarire la natura delle cadute è spesso difficile, ma è anche importante per stabilire la terapia, rispettivamente le misure di prevenzione. Se si è effettivamente in presenza di un parkinsonismo atipico, la terapia è quasi sempre più complessa e meno promettente che nel caso della «normale» sindrome di Parkinson idiopatica. Anche la prognosi è purtroppo più infausta.

Prof. Dr. med. Mathias Sturzenegger (archivio Parkinson Svizzera)

 

Una parkinsoniana di 81 anni che fa capo al nostro servizio Spitex e a cui la malattia è stata diagnosticata nel 2002, lamenta allucinazioni mattutine dopo l’assunzione del farmaco Madopar LIQ 125 mg. Si tratta di un effetto secondario del medicamento oppure del fatto che il Sinemet (somministrato sei volte al giorno) non fa più effetto come prima?

Quasi un quinto dei parkinsoniani prima o poi ha problemi di allucinazioni. Ciò non è dovuto soltanto ai farmaci, ma anche a fenomeni di predisposizione individuale, all’età avanzata, all’insorgere di problemi cognitivi e a una terapia che dura da molto tempo. Le allucinazioni sono altrettanto frequenti con la levodopa quanto con gli agonisti dopaminergici. Nel caso di questa paziente ottantunenne, la causa non è una riduzione dell’efficacia del Sinemet, bensì il Madopar LIQ somministrato il mattino, che agisce con grande rapidità. Con una riduzione della levodopa nelle ore mattutine gli effetti allucinatori possono essere rapidamente ridotti. Andrebbero tuttavia verificati anche altri fattori che possono favorire l’insorgere di allucinazioni.

Nel corso del tempo, ho visto parecchi casi di pazienti disidratati (per non aver assunto abbastanza liquidi), in leggero stato di febbre (che in età avanzata non è mai molto alta) o dopo operazioni, che hanno sofferto di allucinazioni passeggere ma inaspettate. In generale, tuttavia, le allucinazioni non si manifestano all’improvviso e possono essere evitate se si riconoscono per tempo i segnali e se si adeguano i farmaci. I parkinsoniani con problemi di incubi notturni vividi e stati confusionali durante le fasi di assopimento o risveglio, spesso poi soffrono di allucinazioni durante la veglia.

Se non si manca lo stadio allucinatorio precoce e se si adeguano per tempo i farmaci, il pericolo di allucinazioni croniche si riduce, poiché le persone in questione rimangono consapevoli della differenza tra le illusioni dei sensi percepite e la realtà, per cui si accorgono che si tratta soltanto di allucinazioni.

Dr. med. Thomas Loher, marzo 2017

Mio padre ha il Parkinson. Quale farmaco gli consiglia per combattere la depressione e i disturbi del sonno (insonnia)? Mio padre si affaccenda giorno e notte, di preferenza armeggiando con cavi elettrici. Ho letto che i farmaci provocano esattamente questo comportamento. Cosa si può fare?

Accanto ai disturbi motori, nella malattia di Parkinson si osservano spesso disturbi non motori tra cui i disturbi del sonno o la depressione, ma anche i disturbi del comportamento. Rientra fra questi ultimi anche il cosiddetto “punding”, che è caratterizzato da una reiterazione di azioni meccaniche, come ad esempio montare e smontare elettrodomestici.

È importante riferire al proprio neurologo questo tipo di disturbi, poiché talvolta hanno conseguenze relazionali e psicologiche. La strategia terapeutica consiste nel modificare e ridurre i farmaci dopaminergici, sempre che l’entità dei disturbi motori lo consenta.

Alcuni farmaci, in particolare alcuni antidepressivi come gli inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI), possono avere un effetto favorevole sia sui comportamenti compulsivi, sia sulla deflessione del tono e sull’insonnia.

Dr. med. Claudio Städler, luglio 2018

Sono infermiera diplomata e mi occupo di un signore anziano malato di Parkinson. Quando mangia, il cibo gli va spesso di traverso: per lui, ciò rappresenta un grave problema. Stiamo attenti a tutto: una buona posizione a tavola, tanto tempo per mangiare, un tempo di riposo sufficiente, protesi dentarie ben fissate, bevande addensate. Cos’altro possiamo ancora fare?

I disturbi della deglutizione sono un problema serio e piuttosto frequente negli stadi avanzati della malattia di Parkinson. Prima di tutto bisognerebbe chiarire con il neurologo se la terapia farmacologica è perfettamente calibrata.

Vorrei sottolineare che lei ha elencato quasi tutti i provvedimenti che sono indicati in caso di problemi di deglutizione. Ciò che manca nella sua lista è l’accortezza di evitare le consistenze miste, come ad esempio lo iogurt con pezzetti di frutta, le minestre con pastina o simili. Gli alimenti omogenei sono più facili e sicuri da inghiottire. I pasti dovrebbero avvenire nelle fasi di buona mobilità.

Se capita spesso che il cibo va di traverso, io suggerirei al medico curante di incaricare un logopedista che conosce bene la malattia di Parkinson di procedere agli accertamenti del caso e prescrivere una terapia. Inoltre, anche i familiari curanti dovrebbero essere istruiti dall'esperto sui provvedimenti da prendere durante i pasti. Determinati provvedimenti stimolanti prima dei pasti possono aiutare a migliorare nuovamente la deglutizione.

Inoltre si potrebbe discutere la possibilità di ricorrere a una sonda PEG (sonda per l’alimentazione): ciò permetterebbe al paziente di consumare soltanto gli alimenti che riesce a inghiottire senza particolari rischi. Le bevande e anche le pastiglie gli potrebbero essere somministrate interamente tramite la sonda. L’apporto di tutti i nutrienti necessari sarebbe garantita senza pericolo, e il fatto di mangiare non costituirebbe più una necessità quotidiana, bensì solo un piacere.

È un fatto che l’aspirazione e le sue conseguenze (la polmonite) rappresentano purtroppo la causa di morte più frequente fra i malati di Parkinson. La situazione individuale del paziente deve pertanto essere valutata d’intesa con lui e con il medico tenendo ben presente questo fatto.

Elisabeth Ostler, Parkinson Nurse, giugno 2020

Soffro di Parkinson da 14 anni. Ho sempre avuto molta saliva. Ora ho sempre una patina in bocca che non riesco a eliminare nemmeno lavando i denti. Lo stesso accade quando torno dal dentista. Come posso pulire la mia bocca?

Le persone con malattia di Parkinson possono presentare una maggiore incidenza di problemi a carico del cavo orale quali parodontopatie, infiammazioni ed infezioni. 
Ciò può essere favorito da una serie di circostanze come la riduzione dei movimenti bucco-linguali, talvolta la presenza di xerostomia (bocca secca) e talvolta la difficoltà nella motricità fine necessaria per le attività di pulizia del cavo orale. Tutto questo può favorire la formazione di una «patina in bocca». 

In questo contesto risulta importante l’acquisizione di strategie mirate come l’uso di uno spazzolino elettrico o con manico adattato, la scelta di un dentifricio al fluoro, l’acquisizione di tecniche di spazzolamento dei denti, l’uso di collutorio a base di fluoro e periodicamente a base di clorexidrina (in caso di difficoltà, applicazione con spugnette per il cavo orale), la pianificazione di controlli dal dentista con la giusta frequenza e durata. 

Risulta inoltre di fondamentale importanza prevedere esercizi specifici in logopedia per migliorare la motricità bucco-linguale e favorire in questo modo la naturale autopulizia della bocca. 

Tutto ciò dovrebbe determinare un miglioramento della salute del cavo orale e, nel tempo, la scomparsa della fastidiosa patina.

Dr. med. Daria Dinacci, medico capoclinica Clinica Hildebrand Brissago, settembre 2023

Sono un uomo affetto da Parkinson e soffro di salivazione eccessiva. All’inizio la saliva era acquosa, ma si è addensata sempre più e ora è come una grossa e fastidiosa goccia difficile da inghiottire. Che cosa posso fare?

I problemi di salivazione riguardano tre quarti dei parkinsoniani e tendono a peggiorare con il decorso della malattia, così da necessitare l’intervento di un medico. La salivazione eccessiva (scialorrea) è il risultato di un maggiore accumulo di saliva nella cavità buccale a causa di un ritmo di deglutizione rallentato e non, come si credeva un tempo, di un aumento della produzione di saliva. L’accumulo di saliva dovuto alla riduzione della frequenza di deglutizione, la saliva che secca a causa della respirazione attraverso la bocca e una diversa composizione della saliva con l’avanzare dell’età conducono alla formazione di un muco viscoso nella cavità orale e quindi ai problemi summenzionati, oltre che a difficoltà di respirazione e a una maggiore propensione a sviluppare carie. Nonostante la secchezza delle fauci e una saliva densa, paradossalmente può manifestarsi un gocciolamento salivare non controllabile. Ciò può mettere in imbarazzo sia le persone colpite sia chi sta loro vicino e contribuisce al rischio di isolamento sociale.

Può giovare per prima cosa un’ottimizzazione della terapia a base di levodopa e di agonisti della dopamina, in modo da ridurre al minimo il blocco motorio del riflesso di deglutizione. Esiste anche un trattamento mirato del problema con iniezioni locali della tossina botulinica nelle ghiandole salivari. L’azione di questi trattamenti di iniezioni ripetute dura dai tre ai sei mesi. Oltre al botulino, vengono utilizzate per ridurre la salivazione anche pastiglie ad azione anticolinergica (amitriptilina, biperidene) o gocce di atropina (da stillare sotto la lingua). Possono inoltre aiutare le tisane di timo, camomilla ed erba salvia. In genere, le persone affette da Parkinson dovrebbero sempre avere liquidi a portata di mano ed essere incoraggiate a idratarsi bene. È anche possibile masticare foglie fresche di salvia. Un rimedio omeopatico di prima scelta è quello a base di Jaborandi.

Oltre agli approcci farmacologici, vale la pena menzionare l’allenamento della deglutizione con la «sveglia da deglutizione»: durante una terapia quotidiana di mezz’ora, si ricorda ogni due minuti mediante un suono al paziente parkinsoniano di deglutire consapevolmente. In tal modo, nel corso di un periodo fra uno e due mesi, si ristabilisce una frequenza di deglutizione normale. A causa del maggiore rischio di carie, io consiglio ai miei pazienti di lavarsi regolarmente i denti (in caso di gravi difficoltà motorie, meglio optare per uno spazzolino elettrico) e di sciacquarsi la bocca con un collutorio disinfettante.

Dr. med. Thomas Loher, marzo 2017

Mio marito ha il Parkinson da sei anni. Da alcune settimane, di notte ha sempre più difficoltà a girarsi nel letto. Io non ho molta forza, e aiutarlo a voltarsi sull’altro lato mi costa uno sforzo enorme. Inoltre il fatto di dovermi alzare in piena notte per aiutarlo mi affatica molto. Cosa ci consiglia?

Se la mobilità è nettamente peggiore di notte che durante il giorno, si può trarre giovamento da un’ottimizzazione della terapia medicamentosa: chiedete consiglio al neurologo. In aggiunta a ciò, nell’ambito della fisioterapia suo marito dovrebbe allenare la mobilizzazione nel letto. A questo fine sono molto utili anche i corsi di cinestetica per pazienti e congiunti proposti da Parkinson Svizzera, durante i quali lei può imparare – insieme a suo marito – la tecnica giusta per aiutarlo a girarsi senza sovraccaricarsi fisicamente.

Un mezzo ausiliario semplice, ma apprezzatissimo per la sua utilità, è il telo per transfert. Piegato in due e steso sotto il paziente, questo telo realizzato in un materiale molto scivoloso agevola enormemente la manovra. Gli strati di tessuto scivolano talmente bene l’uno sopra l’altro che per muoversi ci vuole pochissima forza. Così i pazienti riescono nuovamente a girarsi senza aiuto, sgravando notevolmente chi si prende cura di loro.

Elisabeth Ostler, Parkinson Nurse, giugno 2020

Ho 73 anni e sei anni fa mi è stato diagnosticato il Parkinson. Ho difficoltà a dormire bene e i soliti problemi nel cambiare posizione nel letto. Uso un materasso ad aria Airlux che ora devo cambiare. Mi è stato consigliato il materasso per i parkinsoniani Thevo. Lei che ne pensa di questo prodotto? Quali sono altrimenti le alternative?

Alla sua domanda non si può dare una risposta generalmente valida. In linea di massima, un materasso molle è più confortevole, ma tende a limitare la capacità di movimento. Più un materasso è duro, più è facile muoversi, ma solitamente ciò va a discapito della comodità. Si sente parlare bene del materasso Thevo perché pare offra una soluzione in cui queste due esigenze sono soddisfatte al meglio. Non ho tuttavia avuto riscontri concreti da chi ne possiede uno.

Conviene comunque prestare attenzione anche alle lenzuola. Meno il tipo di stoffa fa resistenza, più è facile cambiare posizione. Un consiglio finale: poco importa quale materasso deciderà di comprare, all’acquisto esiga di poter restituirlo dopo un paio di settimane di prova. Qualora il materasso scelto non la soddisfi, il commerciante dovrebbe permetterle di provarne altri, finché avrà trovato quello che fa al suo caso.

Elisabeth Ostler, Parkinson Nurse, settembre 2017

Mio marito (67 anni) convive con il Parkinson da diversi anni. Ultimamente succede che nel sonno dimeni furiosamente le braccia e mi ha anche già fatto male. Il mattino dopo non si ricorda di nulla. Questi movimenti nel sonno sono tipici del Parkinson? Che cosa posso fare?

In neurologia, quello che lei descrive si chiama disturbo comportamentale in sonno REM. REM sta per «rapid eye movement» (movimento oculare rapido) ed è la fase del sonno durante la quale si sogna. Di solito durante questa fase la muscolatura è completamente rilassata. Per questo gli avvenimenti che sogniamo non si riflettono in movimenti del corpo. Sembra che nelle persone con Parkinson questo rilassamento muscolare non funzioni più, per cui il sogno viene vissuto fisicamente. Può quindi capitare che la persona in questione urti chi dorme al suo fianco. Poiché i sogni avvengono mentre si dorme, il mattino seguente non ricorda nulla dell’accaduto. È un disturbo che può manifestarsi già anni prima della diagnosi oppure svilupparsi solo nel corso del tempo.

Parlatene con il vostro neurologo, che cercherà di migliorare il sonno di suo marito, e così dormirà più serena anche lei. Esistono anche coppie che preferiscono dormire in stanze separate. È una soluzione da valutare.

Elisabeth Ostler, Parkinson Nurse, settembre 2022

Ho sentito che dopo una SCP si aumenta di peso, soprattutto le donne. È vero? E se è così, perché succede? Cosa posso fare per ovviare a questo problema?

È vero: dopo l’intervento di SCP spesso si verifica un aumento di peso. Le cause sono controverse. Da un canto, il drastico miglioramento delle discinesie e della rigidità comporta una riduzione del consumo di calorie. Dall’altro canto, si parla anche di meccanismi che potrebbero essere direttamente correlati al bilancio energetico. Questo però non è accertato, e probabilmente non riveste importanza.

Poiché l’aumento di peso interviene soprattutto dopo una stimolazione subtalamica, una possibile spiegazione risiede in un cambiamento del comportamento alimentare. Questo tipo di stimolazione provoca spesso un – solitamente moderato – aumento dell’impulsività. I pazienti diventano più spontanei, estroversi e impulsivi, il che può essere assolutamente auspicabile. Tuttavia, ciò rende anche un po‘ meno efficace l’autocontrollo sul comportamento alimentare. A ciò si aggiunge il fatto che taluni farmaci antiparkinson, i cosiddetti dopamino-agonisti, acuiscono la voglia di diversi cibi specifici (soprattutto dolci) e la tentazione di fare spuntini (notturni).

La combinazione fra aumento dell’appetito e riduzione del controllo degli impulsi è probabilmente il fattore decisivo ai fini dell’aumento di peso dopo una SCP subtalamica. I rimedi sono: 1 ottimizzazione della regolazione della stimolazione, 2 diminuzione della dose di dopamino-agonisti e 3 – il più importante – una dieta. In assenza di un bilancio calorico positivo non si verifica mai un aumento di peso. In altre parole: a lungo termine una dieta funziona sempre, anche se non è facile.

PD Dr. med. Michael Schüpbach, dicembre 2017

Sei anni fa, a me (64 anni) è stato diagnosticato il Parkinson. Ora mi chiedo se la stimolazione cerebrale profonda (DBS) potrebbe essere un’opzione giusta per me. Come si fa a stabilire se sono idoneo a questo intervento?


Prima di tutto, può valutare da solo se vale la pena di continuare a ragionare su questa possibilità. In linea generale, si può dire che esistono due situazioni nelle quali si prende in considerazione la stimolazione cerebrale profonda per i malati di Parkinson. Anzitutto nel caso di un tremore che non può essere trattato adeguatamente con i farmaci, e in secondo luogo se insorgono le cosiddette fluttuazioni motorie, che si caratterizzano per una durata sempre minore dell’effetto dei farmaci, con conseguente rallentamento motorio (acinesia) e rigidità, e che si possono alternare a movimenti involontari (discinesie) non appena riprende l’azione dei farmaci. Oggi si pensa a questo trattamento molto prima di una volta, quando si tendeva ad aspettare a lungo nonostante la comparsa di fluttuazioni motorie.

In seguito il suo neurologo deciderà se, tenuto conto della situazione complessiva, lei può essere indirizzato a un centro DBS, dove verranno svolti molteplici esami per stabilire se la DBS è una terapia idonea per lei. Fra i diversi criteri esaminati rientra anche la risposta dei suoi sintomi parkinsoniani alla levodopa. A ciò si aggiungono pure esami neuropsicologici e psichiatrici. Solo al termine di queste indagini mediche si potrà prendere una decisione, che in ultima istanza spetterà ovviamente a lei.

Prof. Dr. med. Christian Baumann, settembre 2021

Ho 50 anni, soffro di Parkinson da 5, e sono interessato alla stimolazione cerebrale profonda (SCP). Come devo procedere per far sì che il mio caso venga sottoposto agli opportuni accertamenti?

Nel corso della malattia di Parkinson si può arrivare a un punto in cui le opzioni terapeutiche offerte dai farmaci orali si esauriscono. La finestra terapeutica tra ipocinesia (riduzione dei movimenti) e ipercinesia (eccesso di movimenti) diventa sempre più stretta: giunge allora il momento di pensare a terapie invasive, fra le quali rientra la SCP. In questa situazione andrebbero tuttavia prese in considerazione anche altre opzioni, quali ad es. la terapia con apomorfina per via sottocutanea o l’infusione duodenale di levodopa (Duodopa). In entrambi i casi, i farmaci vengono somministrati in maniera continua tramite un sistema di pompa esterna. In Svizzera, queste terapie invasive sono offerte da alcuni centri specializzati.

Mediante apposite procedure di diagnosi differenziale, presso questi centri si stabilisce se i pazienti sono idonei a una di queste terapie. I diversi esami vengono spesso svolti durante un breve soggiorno stazionario per consentire un’accurata verifica interdisciplinare (neurologia, neurochirurgia, psichiatria, neuropsicologia, logopedia, fisioterapia, neuroradiologia) delle singole indicazioni. È importante concedersi il tempo necessario per prendere la decisione giusta insieme ai parkinsoniani e ai loro familiari. Tutte le terapie summenzionate possono migliorare nettamente e per lungo tempo la qualità di vita delle persone con Parkinson, e sono state sottoposte ad analisi approfondite nel quadro di studi controllati. Anche se questi interventi comportano rischi limitati, occorre sempre verificare con cura se la qualità di vita dei pazienti è talmente limitata da giustificarne l’assunzione.

Dr. med. Stefan Hägele, giugno 2021

 

Mi sembra di capire che esistono diversi tipi di DBS. Quale è adatto a chi? E c'è un limite di età per questa terapia?

 

Nel caso della malattia di Parkinson, per la DBS vengono selezionate diverse aree bersaglio. Con questo termine ci si riferisce alle zone del cervello nelle quali la punta dell’elettrodo emette impulsi ad alta frequenza per modificare la funzione del cervello esattamente nel punto prescelto, con il preciso scopo di alleviare i disturbi. Oggi operiamo soprattutto nel nucleo subtalamico per migliorare il rallentamento, la rigidità e il tremore. Non di rado si ottiene anche un’attenuazione dei disturbi del sonno o dei dolori che si manifestano nella malattia di Parkinson. Nella maggior parte dei casi, la DBS permette altresì di ridurre significativamente i farmaci da assumere.

Un'altra area bersaglio è rappresentata dal globo pallido interno. Mediante una stimolazione cerebrale profonda in questa zona meno incline agli effetti collaterali si mitigano soprattutto le discinesie, però solitamente non si ottiene una riduzione dei farmaci. Nei pazienti affetti soprattutto da tremore, talvolta si interviene anche sul talamo: questo approccio incide però poco o per nulla sugli altri sintomi e sui farmaci da assumere. Per questi pazienti, sempre più spesso si preferiscono gli ultrasuoni focalizzati alla stimolazione cerebrale profonda. E come la mettiamo con il limite d’età? La risposta non è univoca. Mentre in taluni Paesi e centri il limite è fissato a 70 anni, a Zurigo operiamo in base all'età biologica. In altre parole, se per il resto una persona è sana e ha una buona aspettativa di vita, interveniamo anche a un’età nettamente più avanzata. Recentemente ho visitato un paziente parkinsoniano che abbiamo operato all'età di 81 anni: a distanza di 10 anni, è ancora attivo e gli piace viaggiare con sua moglie.

Prof. Dr. med. Christian Baumann, settembre 2021

 

Da un paio di settimane ho bruciori di stomaco. Prendo il Sifrol e da tre mesi anche L-Dopa. Può dipendere dal Parkinson?

Il bruciore di stomaco può avere molte cause. Vi può essere una correlazione con i medicamenti per il Parkinson. Per lo più questo effetto collaterale può comparire all’inizio della terapia e sparire dopo poche settimane. Vi sono numerosi medicamenti con i quali combattere il bruciore di stomaco. Nel caso in cui sia verosimilmente causato dai medicamenti per il Parkinson, la temporanea assunzione di Motilium può essere d’aiuto.

Prof. Dr. med. Hans-Peter Ludin (archivio Parkinson Svizzera)

Sono infermiera diplomata e lavoro per un servizio Spitex. Da un po’ di tempo uno dei miei assistiti affetti da Parkinson soffre di incontinenza fecale quotidiana. Mi può dire cosa posso fare per alleviare la sua situazione?

Nel Parkinson la diarrea è piuttosto rara. Presumo che il medico di famiglia abbia già escluso le cause più ovvie della diarrea. Nel caso dell’incontinenza fecale con episodi quotidiani di perdita incontrollata di feci da lei descritta si potrebbe trattare della cosiddetta diarrea paradossale. Ciò significa che il retto è pieno di feci dure compresse in grumi che non possono più essere espulse spontaneamente. Il contenuto intestinale retrostante, non ancora consolidato, scorre in maniera incontrollata attraverso questi grumi e fuoriesce, poiché il muscolo anale non ha più la forza di chiudersi completamente. La maggior parte dei casi di incontinenza fecale nel Parkinson si spiega così.

La soluzione del problema risiede nello svuotamento del retto (clistere, evacuazione manuale). Nello stesso tempo, bisogna somministrare regolarmente farmaci indicati per ammorbidire le feci (Transipeg forte o Movicol) per impedire che il contenuto dell’intestino possa nuovamente indurirsi. In alcuni casi, per svuotare il retto i pazienti necessitano di clisteri regolari.

Elisabeth Ostler, Parkinson Nurse, giugno 2020

Da un po’ di tempo, il mio partner – che ha 60 anni ed è malato di Parkinson da 10 – soffre di problemi allo stomaco: vomita spesso e non sta bene. Inoltre segue un trattamento contro l‘ipotensione. I suoi disturbi gastrici non sono migliorati nemmeno prendendo il Motilium. Cosa possiamo fare?

I disturbi gastrici o digestivi sono un problema frequente e importante per i malati di Parkinson. È essenziale che gli accertamenti medici e il trattamento avvengano seguendo una certa sistematica. Per prima cosa occorre escludere altre cause che potrebbero spiegare il mal di stomaco e la nausea. A questo fine, sarebbe opportuno prevedere una gastroscopia. Questo esame serve anche a individuare un’eventuale infezione da helicobacter pylori: si tratta di una patologia che può essere curata bene e che ultimamente viene associata a un cattivo assorbimento della levodopa.

Se questa indagine non fornisce alcuna spiegazione, bisogna spostare l’attenzione sui farmaci e i loro effetti collaterali. La migliore strategia da adottare in questa situazione consiste nel continuare con una sostanza (levodopa) ed eventualmente sostituire altri medicamenti antiparkinsoniani con la levodopa, ovvero il farmaco che sicuramente denota il migliore profilo efficacia-effetti collaterali. L’aggiunta di domperidone (Motilium®) in un dosaggio sufficiente (3x10 mg/d) è una buona idea, poiché esso stimola la motilità gastrica. 30 mg al giorno è la dose massima di Motilium secondo il Compendio svizzero dei medicamenti. Nel contesto di una gastroparesi (riduzione della motilità dello stomaco) può tuttavia rendersi necessario anche un dosaggio più elevato (3x20 mg/d). La gastroparesi è espressione del coinvolgimento del sistema nervoso vegetativo. Nel caso del suo partner, un altro indizio di notevole compromissione del sistema nervoso vegetativo è costituito dai problemi di pressione sanguigna.

In linea di massima, sarebbe anche il caso di prendere in considerazione l’opzione di una stimolazione cerebrale profonda. A 60 anni e con 10 anni di decorso, l’indicazione sarebbe probabilmente data. Il beneficio della stimolazione profonda risiede nella possibilità di diminuire i farmaci, e di conseguenza anche – almeno in parte – la gastroparesi.

PD Dr. med. Georg Kägi, giugno 2020

Ho il Parkinson da 4 anni. Da allora sono sempre più spesso tormentato dalla stitichezza. Questo disturbo è dovuto alla malattia? E cosa posso fare per alleviarlo?

Vi sono due motivi per i quali i pazienti parkinsoniani soffrono di stitichezza. Da un canto, la malattia stessa riduce il movimento della muscolatura intestinale. Dall’altro canto, la maggior parte dei medicamenti antiparkinsoniani provoca costipazione. Ecco perché moltissimi pazienti lamentano problemi di questo tipo.

La stitichezza può essere divisa in due categorie: si parla di «costipazione da transito rallentato» quando – come dice il nome – il transito del contenuto intestinale attraverso il colon dura a lungo rendendo troppo dura la massa fecale. Nella «costipazione rettale» il transito è invece normale (durata e consistenza): le feci seccano e si induriscono solo nell’ultimo tratto.

Per garantire un buon assorbimento dei farmaci occorre una digestione regolare. Pertanto, nel limite del possibile deve fare in modo di svuotare l’intestino almeno ogni 3 giorni, meglio ancora ogni 2. Se la stitichezza persiste nonostante l’adozione di misure convenzionali quali moto, alimentazione ricca di fibra e assunzione sufficiente di liquidi (1,5 – 2 litri al giorno), non attenda troppo prima di utilizzare un lassativo.

Nel caso della costipazione da transito rallentato sono indicati i farmaci per ammorbidire le feci (ad es. Movicol, Transipeg forte). Questi ultimi vanno assunti regolarmente (1-3 volte al giorno), a differenza dei rimedi che facilitano l’espulsione, come il sciroppo di fichi, il Tè Midro, il Laxoberon, ecc., che – al fine di prevenire una possibile assuefazione – vanno presi solo per 2 o 3 giorni.

Contro la costipazione rettale sono utili provvedimenti che liberano il retto (supposte, microclismi o clisteri). Non di rado, l’assunzione regolare di un preparato ammorbidente rende superfluo l’uso di tutti gli altri lassativi.

Elisabeth Ostler, Parkinson Nurse, giugno 2020

Da un po’ di tempo, durante la notte ho forti attacchi di sudore. Cosa posso fare?

Gli attacchi di sudore che infastidiscono circa due terzi dei malati di Parkinson si manifestano individualmente sia durante i blocchi, sia durante le discinesie, sia di giorno, sia di notte. In ogni caso, è indubbio che il sudore e gli abiti bagnati sono molto sgradevoli. In molti pazienti gli attacchi di sudore si verificano di notte, costringendoli a cambiare ripetutamente pigiama e biancheria da letto.

Per ovviare alla sensazione spiacevole generata dalla pelle umida di sudore, consiglio di indossare indumenti funzionali concepiti per lo sport (per esempio Icebreaker), e questo anche a letto. Il materiale speciale con cui sono fabbricati allontana il sudore dalla pelle, facendolo confluire sulla superficie degli abiti. L’abbigliamento funzionale di buona qualità, piuttosto caro, si trova nei negozi di articoli sportivi. In aggiunta a ciò, consiglio la biancheria da letto in microfibra, che è molto assorbente e regala una piacevole sensazione di asciutto. Al mattino, non dimentichi di arieggiarla bene.

Per cercare di ridurre gli attacchi di sudore notturno, la sera può assumere 40 gocce di Salvia diluite in poca acqua tiepida. Questo preparato diminuisce la sudorazione, e tra l’altro si presta anche per l’igiene orale. In alternativa, può anche inghiottirne 5 – 20 gocce 3 volte al giorno.

Elisabeth Ostler, Parkinson Nurse, giugno 2020

Da circa 10 anni prendo il Requip®. Soffro di gambe senza riposo. Adesso sudo tantissimo sulla testa, la fronte e la nuca. Che cosa mi consiglia contro la sudorazione?

Alcune persone con Parkinson presentano problemi con la parte del sistema nervoso che controlla la sudorazione (sistema nervoso autonomo). Ciò può portare a una sudorazione eccessiva (iperidrosi), che spesso si manifesta in fasi di minore efficacia del farmaco antiparkinsoniano. Molti sudano di notte. La produzione eccessiva di sudore può comparire anche in fasi ON (quando i farmaci antiparkinsoniani agiscono bene), soprattutto se le persone affette presentano discinesie (movimenti involontari incontrollabili).

La sua sudorazione è probabilmente imputabile a un problema del sistema nervoso autonomo, e non al Requip® che assume da tanti anni. La sudorazione eccessiva può essere controllata meglio anche mediante diverse misure di natura generale, ad es. evitando cibi o bevande che possono far sudare (come alimenti speziati e alcol) e preferendo indumenti di cotone ampi a capi aderenti o in materiale sintetico.

Dr. med. Ines Debove, dicembre 2019

Si dice che i medicamenti per il morbo di Parkinson incentano la dipendenza dal gioco d’azzardo. Io sono malato di Parkinson da otto anni. Non sono un fanatico del gioco d’azzardo, ma gioco al lotto e ho anche perso qualche volta al casinò. Rischio di rovinarmi finanziariamente?

L’ormone dopamina è un cosiddetto neurotrasmettitore importante per il controllo dei nostri movimenti. Esso si forma nelle cellule della substantia nigra e svolge funzioni importanti in diversi circuiti di regolazione. Se queste cellule non funzionano più correttamente, compaiono i disturbi mobilità tipici del morbo di Parkinson.

La dopamina ha anche compiti importanti nel controllo delle emozioni e in altri ambiti del comportamento umano: il senso di benessere che si prova quando si riceve una ricompensa, ad esempio, viene trasmesso per il tramite di questo ormone. Esso sembra avere un ruolo anche nelle dipendenze. È quindi comprensibile che la dopamina assunta come medicamento dai malati di Parkinson possa accentuare una certa tendenza alla dipendenza già esistente in precedenza.

Va però ricordato che: 

  1. la Levodopa e i cosiddetti dopaminoagonisti sono sempre ancora i medicamenti più efficaci per curare le persone affette dal morbo di Parkinson;
  2. gli ammalati di Parkinson hanno, contrariamente ai sani, una carenza di questo ormone;
  3. questo pericolo esiste praticamente solo per coloro che già denotano disturbi del comportamento di questo genere;
  4. un siffatto effetto collaterale fra i medicamenti a base di dopamina somministrati ai pazienti di Parkinson è stato osservato solo in casi eccezionali.

Prof. Dr. med. Mathias Sturzenegger (archivio Parkinson Svizzera)

Nel numero 131 (p. 41) della rivista Parkinson è apparso un testo sugli effetti collaterali dei dopaminoagonisti. Lo studio menzionato nell’articolo conferma una tesi consolidata che trova riscontro anche nell’elenco di effetti secondari riportato sui foglietti illustrativi dei vari produttori, nei quali si fa un uso ampio e indifferenziato di concetti quali dipendenza e mania. Non si potrebbero utilizzare termini meno negativi? Dopotutto, dal punto di vista dei parkinsoniani questi effetti non sono necessariamente solo negativi, non crede?

La mania del gioco d’azzardo e lo shopping compulsivo possono avere conseguenze finanziarie sgradevoli. Non di rado i pazienti si indebitano e bisogna bloccare le loro carte di credito. Anche l’aumento della libido può risultare problematico all’interno di una coppia. Dato che le persone se ne vergognano, spesso questi effetti indesiderati dei dopaminoagonisti non vengono riferiti spontaneamente: è quindi necessario che i medici pongano di loro iniziativa domande mirate.

D’altra parte, l’obiezione secondo cui questi effetti secondari di natura psichica possono anche essere positivi è giusta. Quando i parkinsoniani soffrono di svogliatezza e apatia, l’azione stimolante dei dopaminoagonisti è benvenuta, poiché accresce lo spirito d’iniziativa e l’energia. Questo è importante soprattutto nei casi – tutt’altro che rari – in cui la mancanza di interesse e l’astenia risultano più gravosi per i familiari che per i parkinsoniani stessi. Anche l’incremento del desiderio sessuale può ravvivare un rapporto di coppia, mentre l’aumento dell’appetito è auspicabile per i malati sottopeso. Non da ultimo, l’effetto antidepressivo dei dopaminoagonisti viene spesso sfruttato in modo mirato per migliorare l’umore.

Prof. Dr. med. Stephan Bohlhalter, luglio 2019

La mia domanda riguarda il tema Parkinson e sessualità. È possibile che io sia quasi impotente a causa della dose elevata di Madopar? Assumo 5 volte al giorno Madopar DR 250 mg (1250 mg), e il mattino anche una Requip 8 mg.

Molti pazienti affetti da malattia di Parkinson presentano una disfunzione sessuale che può comportare un ulteriore detrimento della qualità di vita. La disfunzione erettile può essere legata al coinvolgimento del sistema autonomico (vegetativo) nel processo neurodegenerativo o alla comorbidità psichica, ma anche all’assunzione di alcuni farmaci come certi antipertensivi o antidepressivi.

Tra questi non figurano il Madopar o il Requip, che potrebbero invece avere un’azione favorevole sulla disfunzione sessuale, specialmente se associata a una riduzione della libido. Alcuni farmaci possono alleviare il problema, ed è importante parlarne apertamente con il neurologo e il medico di famiglia.

Dr. med. Claudio Städler, luglio 2018

Cosa pensa in generale dell’agopuntura usata per alleviare i sintomi del Parkinson?

L’agopuntura vanta una lunghissima tradizione nella medicina cinese. Se gli aghi utilizzati sono sterili, si tratta di un metodo sicuro e povero di effetti collaterali. Vengono riportati successi in casi di compromissione cronica dello stato di salute generale, quali ad es. le sindromi dolorose. In generale bisogna prestare attenzione al livello di formazione poco omogeneo degli agopuntori.

Nell’ambito della malattia di Parkinson si opera una distinzione tra il trattamento dei sintomi motori e di quelli non motori. Nel caso dei disturbi motori, in primo piano c’è indubbiamente la terapia dopaminergica (levodopa, agonisti dopaminergici). Anche la mucuna pruriens, una pianta di provata efficacia divenuta nota grazie alla medicina tradizionale indiana, è caratterizzata da un elevato tenore di levodopa. Per quanto riguarda l’efficacia dell’agopuntura sui sintomi motori della malattia di Parkinson, esistono tuttavia solo pochi studi controllati che in complesso non consentono di trarre conclusioni affidabili in relazione a un miglioramento dei disturbi. Personalmente non conosco alcuno studio volto a determinare la risposta dei sintomi non motori del Parkinson all‘agopuntura. In questo caso la dimostrazione dell’efficacia presenterebbe tuttavia difficoltà metodologiche molto maggiori: in effetti, è più complicato distinguere tra effetto placebo ed effetto reale, poiché la portata dei disturbi non motori viene percepita soggettivamente in maniera molto diversa tanto dai pazienti quanto dai curanti.

Prof. Dr. med. Peter Fuhr, febbraio 2021

Ho letto in Internet che in India per la terapia antiparkinsoniana si utilizza un estratto di fieno greco in combinazione con levodopa naturale ricavata dal fagiolo mucunapruriens. Cosa ne pensa?

La levodopa impiegata oggigiorno per il trattamento del Parkinson fu isolata nel 1931 dai semi di fava (viciafaba). La sua importanza terapeutica per il trattamento del Parkinson fu però riconosciuta solo molto più tardi. Anche questo rimedio, come molti altri farmaci di sintesi prodotti attualmente, trae pertanto origine da una pianta.

Il fagiolo mucunapruriens, che contiene addirittura più levodopa dei semi di fava, era utilizzato già dalla medicina ayurvedica per i pazienti di cui, in base alle conoscenze attuali, si potrebbe pensare che fossero affetti dal Parkinson. Esistono altresì piccoli studi controllati nell’ambito dei quali si è studiata l’azione del fagiolo mucunapruriens in caso di Parkinson. Malgrado ciò non è possibile passare semplicemente da una terapia basata su levodopa prodotta sinteticamente a una terapia con mucunapruriens, poiché la progressione del Parkinson varia considerevolmente tra un paziente e l’altro. Più la malattia è avanzata, più è importante che le dosi somministrate a intervalli regolari denotino un tenore identico di principio attivo: solo così se ne può prevedere l’effetto. In altre parole: per poter assumere l’estratto di mucunapruriens è indispensabile sapere quanta L-Dopa contengono le pastiglie utilizzate! Se l’effetto è insufficiente può verificarsi un netto peggioramento della sindrome di Parkinson. Se invece il principio attivo agisce troppo, c’è il rischio che compaiano delle discinesie (sgradevoli movimenti involontari). Mi risulta che i costi per l’accertamento del dosaggio non vengono assunti dalla cassa malati. Essi variano a dipendenza del distributore, ma si attestano mediamente su circa 40 Euro (60 franchi) per 120 pastiglie.

Conclusione: certo, in futuro l’estratto di mucunapruriens potrebbe svolgere un ruolo nella terapia antiparkinsoniana anche in Europa, ma prima di giungere a un’omologazione occorrono studi clinici controllati basati su un numero elevato di casi per valutarne meglio l’efficacia e la sicurezza. Il fieno greco (trigonella foenumgraecum) è una leguminosa il cui potenziale d’azione quale complemento alla levodopa è stato analizzato recentemente da scienziati indiani nel quadro di uno studio dell’efficacia e della sicurezza. Come nel caso di altre ricerche vertenti su farmaci, la sostanza vegetale è stata aggiunta a una terapia con levodopa, oppure i pazienti hanno ricevuto – senza saperlo – un placebo.

In totale sono stati esaminati 50 pazienti sull’arco di sei mesi. Oltre a verificare l’efficacia sui sintomi parkin­soniani, i ricercatori hanno eseguito una verifica scrupolosa della sicurezza applicando diversi parametri sanguigni, allo scopo di raccogliere informazioni in merito a possibili rischi per i pazienti. Essi hanno così individuato indizi di un’evoluzione rallentata della malattia nei pazienti che erano stati trattati con la sostanza vegetale in aggiunta alla levodopa, come pure un miglioramento della mobilità. Tuttavia, sarebbe prematuro fare affermazioni univoche a riguardo dell’impiego del fieno greco. Non è però escluso che in avvenire questa sostanza possa acquisire una certa importanza nella terapia antiparkinsoniana.

Dr. med. Stefan Hägele-Link, aprile 2021

Ho letto su Internet che la canapa è disponibile come farmaco. È utilizzata per i pazienti parkinsoniani? E con quali risultati?

La canapa contiene numerose sostanze, come il cannabidiolo (CBD) e il tetraidrocannabinolo (THC). Il farmaco Sativex® è ammesso in Svizzera per alleviare i sintomi nei pazienti con spasticità medio-grave dovuta alla sclerosi multipla (SM), e ciò nei casi che non rispondono adeguatamente a un’altra terapia farmacologica antispastica, ma presentano un notevole miglioramento clinico dei sintomi associati alla spasticità durante un tentativo terapeutico. Il Sativex® sottostà alla Legge federale sugli stupefacenti e le sostanze psicotrope (LStup). L’impiego del Sativex® al di fuori delle indicazioni ammesse (cioè ad es. per il Parkinson) presuppone un’autorizzazione dell’Ufficio federale della sanità pubblica.

I derivati della canapa con un tenore di THC inferiore all‘1% non sottostanno alla Legge sugli stupefacenti e sono pertanto oggetto di un crescente sfruttamento commerciale. Una panoramica è disponibile nel sito Internet dell’Ufficio federale della sanità pubblica.

Anche se nei media sono stati pubblicati numerosi articoli – in parte anche con documentazione video – che descrivono un effetto positivo dei derivati della canapa sulla malattia di Parkinson, per ora nella letteratura scientifica non se ne trova conferma. In quattro piccoli studi controllati non si è potuto provare alcun effetto benefico sui disturbi del movimento nel Parkinson.

Non è accertato nemmeno che la canapa riduca le discinesie. Visti i tanti ingredienti contenuti nei prodotti e le numerose modalità in cui può essere consumata la canapa, prima di poter formulare una raccomandazione bisogna anzitutto stabilire – senza più tergiversare – quale tipo di derivato della canapa dovrebbe semmai essere utilizzato per il Parkinson. Per adesso manca però qualsiasi dimostrazione scientifica dell’efficacia della canapa.

Prof. Dr. med. Carsten Möller, luglio 2017

Mio padre ha 79 anni. Trema quando cerca di compiere movimenti fini, ma non a riposo. Si tratta forse di un tipico tremore parkinsoniano? Significa che mio padre ha il Parkinson?

Il tremore tipico del Parkinson, anche e soprattutto all’esordio della malattia, è un tremore a riposo: in altre parole, esso si manifesta quando la muscolatura è rilassata, ad esempio mentre si sta seduti sul divano a guardare la TV. Il tremore parkinsoniano comincia solitamente nelle mani ed è asimmetrico, cioè colpisce una mano sola (almeno negli stadi iniziali della malattia).

È sempre sorprendente osservare come il tremore tipico del Parkinson sparisce – anche quando è molto pronunciato – non appena il paziente compie un movimento, ad esempio quando afferra un bicchiere e se lo porta alla bocca senza esitazioni e senza versare nemmeno una goccia. I pazienti riferiscono altresì che questo tremore non li ostacola neppure quando eseguono lavori manuali complicati. Questo perlomeno all’inizio della malattia. Del resto, il tremore non è il sintomo principale della malattia di Parkinson, e non è per nulla riscontrabile in tutti i pazienti.

Alla luce di queste considerazioni, è quindi improbabile che suo padre abbia il Parkinson. Per escludere definitivamente questa diagnosi, ma anche per chiarire la causa del tremore, è tuttavia indispensabile sottoporre suo padre a un’accurata visita neurologica presso uno specialista.

Prof. Dr. med. Mathias Sturzenegger (archivio Parkinson Svizzera)

Recentemente il mio medico mi ha tolto il farmaco «Akineton»: da allora il mio stato è peggiorato, tremo molto di più e soffro di un forte ristagno di saliva nella bocca. Devo rassegnarmi a convivere con questi disagi?

In effetti, l’Akineton ha un buon effetto sul tremore e sul ristagno di saliva caratteristici del Parkinson. In realtà, questi due sintomi sono l’unico motivo che oggi giustifica ancora l’impiego di questo farmaco nel trattamento della malattia di Parkinson. Questo perché soprattutto nei pazienti anziani l’Akineton ha numerosi effetti secondari sgradevoli e persino pericolosi, fra cui ad esempio confusione, allucinazioni, stanchezza, vertigini, cadute, ritenzione urinaria, disturbi gastrici, costipazione, disturbi visivi, secchezza delle fauci e altri ancora.

Bisognerebbe conoscere i motivi che hanno indotto il suo medico a sospendere la somministrazione del farmaco. Eventualmente già dosi (più) piccole di Akineton potrebbero bastare per alleviare i suoi disturbi. Tuttavia esistono anche altri rimedi per diminuire il tremore o frenare il flusso di saliva. Ne parli con il suo medico.

Prof. Dr. med. Mathias Sturzenegger (archivio Parkinson Svizzera)

Il tremore è considerato uno dei primi sintomi visibili del Parkinson. La dopamina è essenziale per i movimenti del corpo. Nel Parkinson si verifica una carenza di dopamina. Ma allora, perché i malati tremano se gli manca la dopamina?

L’origine esatta del tremore osservato nel Parkinson non ha ancora potuto essere chiarita in maniera definitiva ed è tuttora materia di studio. La malattia di Parkinson è progressiva e si accompagna a una continua perdita di cellule nervose contenenti dopamina. La dopamina è un neurotrasmettitore utilizzato dai neuroni del cervello per controllare con la maggiore precisione possibile le singole sequenze di movimenti tramite i vari circuiti cerebrali (nuclei della base).

In seguito alla perdita di dopamina viene a crearsi uno squilibrio fra i vari neurotrasmettitori presenti nel cervello. La prevalenza di altri neurotrasmettitori (fra cui acetilcolina e glutammato) provoca un’accresciuta attivazione di circuiti che normalmente sarebbero mantenuti in equilibrio dalla dopamina. A sua volta, con la progressione della malattia ciò causa il tremore.

Dr. med. Ines Debove, dicembre 2019

Mio padre ha 75 anni. Quando svolge qualche lavoro manuale, trema. Ma quando non fa nulla, non trema. Questo è tipico della malattia di Parkinson?

Nella malattia di Parkinson il tremore si manifesta tipicamente a riposo e non in modo simmetrico a destra e a sinistra. Lei scrive che nel caso di suo padre il tremore compare durante il lavoro manuale, ma non a riposo. Questo può far pensare a un cosiddetto tremore essenziale o familiare. Anche taluni disturbi ormonali (ad esempio l'ipertiroidismo) o certi farmaci possono scatenare il tremore da lei descritto. In assenza di un tremore a riposo, la situazione dovrebbe essere valutata anzitutto dal medico di famiglia. Se quest’ultimo non trova alcuna causa, occorre consultare un neurologo, il quale può accertare l’eventuale presenza di un tremore essenziale o familiare, e se del caso prescrivere un trattamento farmacologico.

Prof. Dr. med. Ulrich Roelcke, marzo 2022

La malattia di Parkinson pregiudica soprattutto la motricità, e quindi i muscoli. Questo vale anche per il cuore?

In via di principio è già noto da tempo che nel Parkinson possono insorgere disturbi del controllo vegetativo del cuore. In questo caso si parla di «denervazione simpatica cardiaca». Fra le altre cose, essa fa sì che nelle situazioni di stress e in caso di ipotensione ortostatica venga a mancare un aumento compensatorio della frequenza cardiaca. Esistono però anche fattori «indiretti», come ad es. la mancanza di attività fisica dovuta al Parkinson, che possono portare a un decondizionamento del sistema cardiocircolatorio.

In certi casi, anche taluni farmaci antiparkinson (ad es. l’amantadina) – soprattutto in combinazione con alcuni psicofarmaci (Seroquel, SSRI, antidepressivi triciclici) – possono provocare disturbi del ritmo cardiaco, oppure un prolungamento della trasmissione degli stimoli nel cuore. Altri medicamenti antiparkinson, i cosiddetti «derivati dell’ergot» (pergolide, cabergolina, ecc.) possono causare una fibrotizzazione (restringimento) delle valvole cardiache: questa è la ragione per cui oggigiorno sono usati nella terapia antiparkinson solo in casi eccezionali. Sono invece oggetto di controversie i risultati di uno studio secondo cui vi sarebbero indizi di un aumento degli infarti cardiaci e dei disturbi del ritmo nei pazienti trattati con entacapone (contenuto nei farmaci Comtan e Stalevo). Non è però stata emessa alcuna raccomandazione secondo cui questi farmaci non dovrebbero più essere prescritti, oppure potrebbero esserlo solo prendendo particolari precauzioni.

Dr. med. Helene Lisitchkina (archivio Parkinson Svizzera)

Soffro di sbalzi della pressione sanguigna. I medicamenti che prendo per il Parkinson possono influire? Devo eventualmente assumere parallelamente un medicamento per abbassare la pressione?

La malattia di Parkinson, come pure i medicamenti, influiscono sulla pressione sanguigna e sulla sua regolazione. La malattia stessa provoca un abbassamento della pressione quando si sta in piedi a causa della riduzione della pompa muscolare e dei disturbi della controregolazione del simpatico. I medicamenti dopaminergici (levodopa e dopaminagonisti) portano alla dilatazione dei vasi sanguigni, ciò che accentua ulteriormente il calo di pressione in posizione eretta (la cosiddetta ipotonia ortostatica). Questo calo anche notevole della pressione in posizione eretta può dare i seguenti sintomi: vertigini, dolori alla nuca, disturbi dell’udito, insicurezza stando in piedi e camminando, fino alle cadute (collasso).

Perfidamente, spesso nello stesso tempo si registra un aumento della pressione stando sdraiati. Se lei misura la pressione (soltanto) quand’è sdraiato, e in considerazione dell’ipertensione così osservata prende medicamenti per abbassare la pressione, diminuirà (erroneamente) anche la pressione in posizione eretta. Ciò non farà altro che peggiorare i disturbi e aumentare il pericolo di collasso. Importante è quindi misurare la pressione stando in piedi e sdraiati, prima di decidere se seguire un trattamento per la pressione sanguigna, e quale. Ne parli col suo medico di famiglia.

Prof. Dr. med. Mathias Sturzenegger (archivio Parkinson Svizzera)

Ho 80 anni, e da sette soffro di Parkinson. Ultimamente mi gira spesso la testa. Questo disturbo c’entra con il Parkinson? E cosa posso fare?

Le vertigini possono avere a che fare con il Parkinson: gli specialisti parlano di ipotensione ortostatica. Le vertigini sono cioè dovute a un calo di pressione in posizione eretta, però è possibile che – al difuori di questi episodi – nel corso della giornata si misurino anche valori pressori troppo elevati.

Cosa può fare? Le raccomando tre misure importanti: 1. Si assicuri di bere abbastanza per sostenere la circolazione sanguigna 2. Utilizzi calze compressive accuratamente adattate (le misure devono essere prese da uno specialista!) per ridurre il ristagno di sangue nelle gambe. Le calze vanno indossate da quando ci si alza al mattino a quando ci si corica la sera. 3. Dorma con il tronco sollevato: in questo modo, la differenza di pressione riscontrata quando si alza dal letto è minore.

Elisabeth Ostler, Parkinson Nurse, septembre 2020

Due anni fa, mi è stato diagnosticato il Parkinson. Sentivo che mi tremavanol’indice e il pollice della mano destra, un problema che da allora è peggiorato. Esistono farmaci che possano aiutarmi? Da qualche tempo ho inoltre cominciato a sentire una sensazione di vertigine. Sarà dovuto anche questo al Parkinson?

Sebbene il Parkinson non sia guaribile, siamo in grado di curarne i sintomi in maniera molto efficace grazie ai numerosi farmaci esistenti. La scelta del medicamento dipende dai sintomi che si manifestano di volta in volta, così come da altri criteri specifici. Le consiglio di rivolgersi a un neurologo che possa confermare la diagnosi e quindi proporle un trattamento farmacologico adeguato.

Le vertigini che menziona non sono tra i sintomi più comuni della malattia di Parkinson, ma in determinate situazioni è possibile che insorgano. Quando la malattia è a uno stadio avanzato, per esempio, può manifestarsi una sensazione di instabilità. Può anche trattarsi di un’ipotensione ortostatica, ossia di un calo della pressione arteriosa quando si sta in piedi. La sensazione di vertigine può però anche essere provocata da un problema dell’orecchio interno che non è in relazione con il Parkinson. Il motivo di queste vertigini deve essere chiarito rivolgendosi a uno specialista.

Prof. Dr. med. Pierre Burkhard, luglio 2016

Il mio partner ha 71 anni e soffre di Parkinson da 12 anni. Ultimamente la sua funzione vescicale è peggiorata. Di notte deve alzarsi diverse volte, il che è fastidioso per tutt’e due, ma soprattutto pericoloso per lui. Si può fare qualcosa per aiutarlo?

Nel decorso avanzato della malattia, molti parkinsoniani presentano disturbi della vescica. Fra questi, viene menzionata spesso l’urgenza minzionale notturna con piccole quantità di urina. Se di notte deve alzarsi anche lei per aiutare il suo partner, dopo poco tempo si crea una situazione insopportabile, poiché lei viene privatadel sonno di cui ha bisogno per affrontare la giornata successiva. Per questa ragione, l’obiettivo può essere uno solo: di notte il suo partner deve poter urinare senza svegliarla ogni volta.

Per raggiungere questo obiettivo, si può fare ricorso a vari mezzi ausiliari: il pappagallo – eventualmente con valvola antireflusso per evitare che il liquido fuoriesca dal dispositivo e bagni il letto – oppure il condom urinario o il pannolone. Il pappagallo è indicato solo se nelle ore notturne il suo partner riesce a muoversi abbastanza per utilizzarlo.

Il condom urinario autoadesivo viene infilato sul pene alla sera, e va poi collegato a un sacchetto raccogli urina da fissare al letto. Così il paziente può urinare rimanendo sdraiato e senza fare fatica. Al mattino, il condom va tolto. L’impiego corretto e confacente allo scopo dovrebbe essere spiegato e dimostrato da una persona esperta, affinché lei e il suo partner possiate convincervi della grande utilità di questo dispositivo, evitando spiacevoli incidenti.

Per finire, va preso in considerazione l’utilizzo di pannoloni: oggigiorno sono prodotti con materiali altamente assorbenti che permettono di trascorrere la notte «all’asciutto». In certi casi, l’atto di svuotare intenzionalmente la vescica rimanendo distesi a letto – che rappresenta un’azione molto inconsueta – presuppone un allenamento mirato.

Elisabeth Ostler, Parkinson Nurse, settembre 2020

Sono infermiera e assisto una signora ammalata di Parkinson da tanti anni. Nello stato di veglia, la paziente è talmente tesa che non riesce a svuotare la vescica, e di conseguenza soffre di forti dolori. Cosa possiamo fare?

Il Parkinson è caratterizzato principalmente dalla morte dei neuroni responsabili della produzione del neurotrasmettitore dopamina. Questi neuroni partecipano anche al controllo della funzione vescicale. I disturbi della vescica sono pertanto un sintomo non motorio riscontrato frequentemente nel Parkinson: circa la metà di tutti i pazienti è affetta da disturbi dello svuotamento vescicale che hanno forti ­ripercussioni sulla qualità di vita.

Nel Parkinson si osserva tipicamente una vescica iperattiva abbinata a un ­bisogno impellente di urinare. Questo problema può essere accompagnato da incontinenza, poiché a causa della mobilità ­ridotta sovente i pazienti non fanno in tempo a raggiungere il bagno. Esistono però anche disturbi vescicali in seguito ai quali la vescica non si svuota completamente, con conseguente ritenzione urinaria (spesso associata a dolore), formazione di un residuo di urina e accresciuto ­rischio di infezioni. Si consiglia in ogni caso di consultare anzitutto un neurologo per escludere eventuali altre cause del ­disturbo vescicale (ad es. patologie maligne delle vie urinarie inferiori). Se tali ­accertamenti hanno esito negativo, bisogna ottimizzare la terapia con L-dopa o agonisti dopaminergici.

Se ciò non basta (come purtroppo accade spesso), in caso di vescica iperattiva possono essere impiegati farmaci (anticolinergici) che calmano la vescica consentendo un controllo migliore dello svuotamento. Questi farmaci provocano però piuttosto spesso – e soprattutto nelle persone anziane – effetti collaterali quali la confusione mentale (delirio).

Dr. med. Stefan Hägele-Link (archivio Parkinson Svizzera)

Soffro di cataratta verde. Può essere collegata all’assunzione dei medicamenti per il Parkinson?

Il collegamento tra  medicamenti per il Parkinson e cataratta verde (glaucoma) è possibile. Vi sono diverse forme di cataratta verde, come pure ci sono numerosi medicamenti per il Parkinson. Pazienti con un cosiddetto glaucoma ad angolo stretto, non possono assumere anticolinergici (p. es. Akineton). Nel caso di glaucoma ad angolo largo per contro possono potrebbero essere potenzialmente dannosi il Madopar e il Sinemet.

Bisogna ricordare che questi medicamenti non sono la causa della cataratta verde, ma eventualmente peggiorarla. In singoli casi l’interrogativo se continuare o no il trattamento deve essere chiarito dal neurologo e dall’oculista.

Prof. Dr. med. Hans-Peter Ludin (archivio Parkinson Svizzera)

Ho 62 anni e ho il Parkinson da quasi dieci anni. Da un po’ di tempo ho la sensazione che le mie lacrime siano «seccate» e gli occhi sono gonfi. A cosa può essere dovuto questo disturbo?

La secchezza oculare può avere svariate cause. Nel Parkinson è nota una minore produzione di liquido lacrimale, che però può essere trattata bene con un collirio da usarsi come «liquido di riserva». Un’altra causa può risiedere nella ridotta attività delle palpebre, pure frequente nel Parkinson. Quale conseguenza di questo disturbo, il liquido lacrimale non si distribuisce uniformemente come una pellicola sulla cornea e la congiuntiva (funzione di «tergicristallo» delle palpebre).

Esistono però anche malattie degli occhi indipendenti dal Parkinson che possono causare la secchezza oculare, come ad es. le congiuntiviti (gli «occhi gonfi» da lei descritti indicano in questa direzione). Le consiglio pertanto di consultare un oculista per accertare la causa esatta dei suoi disturbi.

Prof. Dr. med. Mathias Sturzenegger (archivio Parkinson Svizzera)

Ho 58 anni e da sette vivo con il morbo di Parkinson. Mi sento bene, sono attivo e frequento la mia abituale cerchia di amici. Di recente uno dei miei colleghi mi diceva che ultimamente mi esprimo in modo incomprensibile. Anch'io mi sono accorto che molta gente durante le conversazioni mi chiedono di ripetere. È una cosa che ha a che fare con il Parkinson e cosa potrei fare?

Sì, questo disturbo della fonazione è, con grandissima probabilità, un sintomo della sua malattia. Esso si manifesta spesso ed individualmente in momenti molto diversi: come primo sintomo o anche molti anni dopo l'inizio della malattia. Le caratteristiche sono diverse: la dizione può essere debole, roca, confusa, incomprensibile, slavata, scolorita e poco modulata. Purtroppo, questi disturbi della fonazione non reagiscono tanto bene ai medicamenti del Parkinson (Levodopa o Dopaminagonisti).

Diversi esercizi o terapie d'allenamento della logopedia hanno dimostrato tuttavia un miglioramento duraturo della fonazione e della sua comprensibilità (p. es. il cosiddetto metodo Lee-Silvermann). Il vostro medico di famiglia dovrebbe annunciarvi ad una logopedista. Lei potrà mostrarvi degli esercizi che potrete fare regolarmente a casa migliorando così la vostra dizione. Principio: esercitarsi, esercitarsi, esercitarsi...

Prof. Dr. med. Mathias Sturzenegger (archivio Parkinson Svizzera)

Ultimamente mia moglie, malata di Parkinson, parla con una voce fioca e in maniera talmente poco chiara che non riesco quasi più a capire ciò che dice. Se le chiedo di ripetere qualcosa, reagisce spesso con irritazione. Questa situazione è pesante per entrambi, poiché eravamo soliti parlare molto tra di noi.

L’eloquio può effettivamente cambiare nel corso della malattia di Parkinson. In tal caso i malati parlano con un filo di voce e in maniera indistinta, spesso però senza esserne consapevoli. Tanto per lei quanto per sua moglie è quindi importante rendersi conto del fatto che il peggioramento dell’eloquio è dovuto alla malattia. Un allenamento mirato del volume di voce, eseguito di preferenza con una logopedista, può contribuire a migliorare nuovamente la comunicazione verbale.

Inoltre le consiglio di mettere in pratica i suggerimenti qui di seguito. Sia paziente: lasci sempre a sua moglie il tempo necessario per rispondere con calma alle domande! Mentre parlate, elimini i rumori di sottofondo (ad es. radio o televisore). Se non capisce qualcosa, chieda gentilmente a sua moglie di ripetere ciò che ha detto alzando un po’ la voce. Nella vita quotidiana, allenatevi regolarmente – e insieme – a parlare a voce più alta: a questo fine, potete ad esempio stare in locali diversi e gridarvi qualcosa. Anche parlare al telefono è un buon esercizio. Per finire, anche cantare è utile per migliorare il volume e rendere più vivace la voce.

Eventualmente potrebbe essere una buona cosa se il neurologo inviasse sua moglie da una logopedista che applica il Lee Silverman Voice Treatment: questo metodo è stato sviluppato da due terapiste della voce per la paziente Lee Silverman, la cui famiglia aveva i suoi stessi problemi. Se parla tedesco o francese, nel nostro Shop può ordinare il CD Logopädieübungen für Parkinsonbetroffene: gli esercizi regolari con questo CD aiutano a rendere la voce più forte e chiara.

Elisabeth Ostler, Parkinson Nurse, giugno 2016

Mio marito (69) soffre di Parkinson da sette anni. Recentemente ha avuto un forte raffreddore. In quel periodo mi è sembrato che i suoi sintomi si fossero nettamente aggravati. È possibile?

Sì, la sua osservazione è corretta: capita spesso di assistere a un peggioramento dei sintomi parkinsoniani in concomitanza con una malattia sistemica (influenza, polmonite), infortunio grave o un’operazione importante. Le ragioni sono varie: spesso la debolezza generale o l’inappetenza inducono i pazienti a non assumere regolarmente i farmaci, oppure vomito o diarrea ostacolano l’assorbimento dei medicamenti tramite il tratto gastrointestinale.

È altresì possibile che nuovi farmaci assunti in aggiunta a quelli contro il Parkinson interferiscano con questi ultimi. Nella maggior parte delle malattie del sistema nervoso, basta la febbre da sola per produrre un aggravamento dei sintomi. Per finire, non è escluso che la degenza a letto resa necessaria dall’influenza provochi una diminuzione generale della mobilità («mancanza d’allenamento»). Questo peggioramento passeggero dovrebbe però sparire una volta che il paziente si è ripreso da tutti i sintomi dell’influenza.

Prof. Dr. med. Mathias Sturzenegger (archivio Parkinson Svizzera)

Ho un paziente con camptocormia che non risponde ai farmaci dopaminergici. La sua testa cadente gli crea grande sofferenza. La stimolazione cerebrale profonda (SCP) potrebbe essere utile per alleviare questo handicap? Cosa consiglia lei in caso di camptocormia?

La camptocormia può essere un sintomo molto gravoso per chi è affetto dalla malattia di Parkinson. Nella situazione tipica, si verifica una marcata flessione in avanti della colonna vertebrale toraco-lombare, flessione che si accentua durante la marcia e sparisce in posizione distesa. Questi disturbi sono ulteriormente aggravati dall’osteoporosi, un’altra patologia spesso osservata nelle persone con Parkinson. Vi sono indizi del fatto che la camptocormia sia riconducibile a una debolezza della muscolatura estensoria della schiena: ciò sembra trovare conferma nelle alterazioni di questa muscolatura riscontrate in molte biopsie, che a loro volta farebbero pensare a una malattia neuromuscolare. A ciò si contrappone l’ipotesi di un’accresciuta attività della muscolatura addominale – come nel caso di una distonia – che può rappresentare un disturbo a sé stante, ma anche manifestarsi nel quadro della malattia di Parkinson. Ciò spiegherebbe il fatto che ad esempio quando si porta uno zaino i disturbi si attenuano (fenomeno del gesto antagonista).

La levodopa può influire positivamente sui disturbi, ma spesso non è abbastanza efficace. L’impiego di dopamino-agonisti può addirittura peggiorare la camptocormia. Recentemente è stato pubblicato un piccolo studio nell’ambito del quale la stimolazione cerebrale profonda è stata utilizzata per stimolare il globus pallidus internus, ovvero il bersaglio scelto anche per il trattamento della distonia. Non tutti i pazienti hanno risposto a questa terapia. Come previsto, il successo terapeutico è stato maggiore nei casi in cui prima dell’intervento era stata documentata una buona risposta alla levodopa. Questa opzione terapeutica merita però sicuramente di essere studiata. In aggiunta a ciò, bisognerebbe assolutamente incentivare una regolare attività fisica e sportiva, come pure fare ricorso a una fisioterapia su base neurofisiologica.

Dr. med. Stefan Hägele, maggio 2021

 

Da quando le è stato diagnosticato il Parkinson cinque anni fa, mia madre sta sempre peggio. Ogni volta che posso la accompagno alle visite mediche. Le vengono prescritti moltissimi farmaci e diventa sempre più complicato gestirli. Io mi annoto sempre tutto e stampo ogni volta la lista di medicinali. Nel trattamento del Parkinson si parla spesso di una collaborazione intensiva tra pazienti e medici. Di che cosa si tratta?

Dopo alcuni anni di malattia, spesso il decorso del Parkinson diventa più impegnativo da accompagnare. Non solo per i congiunti, ma anche per gli specialisti. Lo scambio di informazioni tra i professionisti che lavorano in campo neurologico e i pazienti è molto importante. Più che la frequenza delle consultazioni conta la loro qualità. È imperativo che i pazienti riferiscano ai neurologi come agisce la terapia prescritta, che cosa è migliorato e che cosa è peggiorato. Questa comunicazione dà al personale medico una base ottimale per decidere in merito alle prescrizioni successive ed eventualmente adeguare il trattamento. Strumenti utili di comunicazione con i neurologi sono la mappa Percezione dei sintomi parkinsoniani (in cui registrare i sintomi non motori) e il Diario Parkinson (in cui registrare l’evoluzione dell’assunzione dei farmaci e della motricità). Entrambi sono disponibili gratuitamente da Parkinson Svizzera.

Elisabeth Ostler, Parkinson-Nurse, settembre 2022

Mia sorella, alla quale recentemente è stato diagnosticato il Parkinson, vuole assolutamente avere dei figli: ha appena 28 anni! È possibile diventare mamma nonostante il Parkinson?

Finora sono state pubblicate poche conclusioni scientifiche incentrate su Parkinson e gravidanza. Anche i dati riguardanti il decorso della malattia di Parkinson durante la gravidanza sono limitati, e in parte persino contradditori. Inoltre mancano linee direttive basate sull’evidenza concernenti questa tematica. Pertanto alla domanda «Gravidanza in caso di Parkinson, sì o no?» si può dare solo una risposta individuale. Prima della gravidanza raccomando comunque una consulenza approfondita da parte del neurologo curante e – in caso di dubbi, o per verificare la presenza di un eventuale rischio familiare di Parkinson – anche di un genetista umano.

In linea di massima, il Parkinson non esclude però la possibilità di una gravidanza riuscita e di un parto senza problemi. Anche se personalmente non ho esperienza nell’assistenza di pazienti parkinsoniane in stato di gravidanza, sono a conoscenza di alcuni casi di donne che hanno portato a termine la gravidanza e hanno partorito senza difficoltà dopo l’esordio della malattia. Considerazioni farmacologiche di principio, ma anche i reperti di esperimenti su animali e le poche pubblicazioni apparse finora sul tema (prevalentemente rapporti di casi clinici) mi inducono a formulare alcuni consigli di carattere generale: la levodopa e gli agonisti della dopamina possono intervenire nel metabolismo ormonale, e di conseguenza dovrebbero essere somministrati con grande prudenza durante la gravidanza. Soprattutto nel primo trimestre, i farmaci antiparkinson dovrebbero essere somministrati alla dose minima possibile.

Se l’assunzione di un preparato a base di L-Dopa è indispensabile, visti i possibili effetti tossici del benserazide (contenuto nel Madopar) a livello del midollo spinale del feto, conviene dare la preferenza al Sinemet. Anche per altri farmaci antiparkinson (amantadina, inibitori delle MAO, inibitori delle COMT), dati ricavati dalla sperimentazione animale suggeriscono possibili rischi per l’embrione. D’altra parte, diversi rapporti di casi clinici indicano che sono possibili gravidanze senza complicazioni sotto terapia orale dopaminergica.

Dr. med. Helene Lisitchkina (archivio Parkinson Svizzera, marzo 2013)

Mia madre (70) ha il Parkinson da 13 anni. Il suo stato peggiora a vista d‘occhio. Assume dei farmaci più o meno ogni due ore ed è sempre esausta oppure iperattiva. Non può più svolgere alcuna attività. Tuttavia rifiuta un trattamento stazionario. Il suo medico non potrebbe semplicemente farla ricoverare?

All’inizio della malattia di Parkinson, di regola la terapia farmacologica permette di controllare bene i sintomi motori. Dopo alcuni anni, in molti pazienti compaiono però delle variazioni dell‘efficacia. Più volte al giorno possono così passare da una fase di rallentamento dei movimenti a una di buona mobilità. Le transizioni da una fase all’altra avvengono spesso d’improvviso, per cui è impossibile prevederle con certezza.
In questo stadio della malattia può essere difcile trovare la combinazione ottimale dei farmaci. A questo fine, occorre una particolare esperienza unita a un’attenta osservazione dei sintomi, ciò che a volte non è possibile in ambito ambulatoriale. Un ricovero stazionario presso una clinica  specializzata nel Parkinson offre l’opportunità di registrare continuamente e nei minimi dettagli le variazioni dei sintomi. Solo dopo aver fatto questo si può ottenere una ricalibratura ottimale della terapia farmacologica. La degenza stazionaria consente inoltre di sfruttare i numerosi vantaggi dell‘approccio terapeuticoriabilitativo, e ciò anche con  riguardo ai sintomi non motori del Parkinson.
Un ricovero ospedaliero non è tuttavia possibile – e neppure opportuno – senza il  consenso della paziente. Provi a spiegare ancora una volta a sua madre quanto illustrato qui sopra, magari anche con l’aiuto del medico di famiglia o del neurologo curante.

Dr. med. Helene Lisitchkina, marzo 2019

Mi è stato detto che una buona igiene dentale è importante. Io ci provo, ma adesso mi riesce ormai piuttosto difficile maneggiare uno spazzolino da denti. C'è qualcosa che mit potrebbe aiutare?

Lei ha ragione: una buona igiene dentale è importante, poiché una bocca sana e denti forti migliorano l’aspetto e facilitano l’assunzione del cibo. Come per tutte le altre attività che trova difficili o faticose, dovrebbe avere l’accortezza di dedicarsi anche all’igiene orale nelle fasi di buona mobilità, ovvero quando i suoi farmaci sono più efficaci. Gli spazzolini da denti curvi permettono di raggiungere più facilmente i denti in fondo alla bocca, mentre un’impugnatura spessa è più facile da tenere in mano. Molti pazienti trovano che gli spazzolini elettrici siano molto utili. Io li raccommando.

Se non riesce a utilizzare il filo interdentale per pulire gli interstizi (importante!), ricorra a spazzolini interdentali che può infilare su appositi supporti, oppure utilizzi una doccia orale (disponibile in combinazione con lo spazzolino elettrico). Chieda consiglio al suo dentista. In aggiunta a ciò, per preservare la salute dei denti, ogni sei-otto mesi vada dal dentista o dall’igienista per un controllo. Per finire, ritengo utile aggiungere che tutti i compiti come pulire i denti, radersi, asciugare i capelli, ecc. (tutti guidati da movimenti della mano e del braccio) risultano più semplici e meno stancanti se si appoggia il gomito (ad es. sul bordo del lavabo).

Elisabeth Ostler, Parkinson Nurse, giugno 2020

Mio marito ed io conviviamo da dodici anni con la sua malattia di Parkinson. Negli ultimi mesi, il peso è diventato talmente grande per me che abbiamo preso la difficile decisione di non procrastinare oltre il momento del suo trasferimento in casa anziani. Ora ci chiediamo come trovare la casa di cura adatta.

Al momento di scegliere l’istituto, conviene porsi le domande qui di seguito.

Quanto è lontano da casa, e come sono i collegamenti con i mezzi pubblici?

Queste domande sono importanti se ha intenzione di andare a trovare regolarmente suo marito. L’accessibilità svolge un ruolo anche per le visite da parte di amici e parenti.

La casa anziani dispone di competenze nella cura in caso di Parkinson?

Molti familiari temono che i curanti commettano degli errori nell’assistenza dei loro cari. Per questa ragione, la competenza infermieristica in caso di Parkinson riveste grande importanza. Un’assistenza 1:1 come a casa non è però possibile in nessuna casa anziani.

Si può garantire il rispetto dello schema terapeutico, spesso assai complicato?

È essenziale che il personale curante capisca quali conseguenze può avere per la persona con Parkinson la mancanza di puntualità nella somministrazione dei farmaci.

Mi sarà data la possibilità di assumermi una «responsabilità part-time» per mio marito?

Questo aspetto è essenziale se lei magari desidera portare fuori suo marito per alcune ore e fare qualcosa di carino insieme a lui, oppure addirittura trascorrere un intero
fine settimana a casa con lui.

Antonietta Sinopoli, assistente sociale SUPSI, Responsabile dei gruppi di auto-aiuto Ticino, marzo 2022

Presto andrò al mare e porterò con me i seguenti farmaci: Madopar, Stalevo, Trittico, Zoloft, Sifrol. Mi può consigliare un rimedio contro il mal di mare che vada d’accordo con le mie medicine?

Il domperidone (Motilium®) è un farmaco adatto a combattere i disturbi causati dal mal di mare. Il Motilium® può essere utilizzato con buoni risultati anche contro i disturbi gastrici causati dal Parkinson (senso di sazietà, eruttazione, flatulenza) a prescindere dal viaggio sul mare. Esso può essere combinato senza problemi con i farmaci antiparkinsoniani. Come effetto secondario, può provocare stanchezza. Questo sarebbe da considerare ad es. se si guida l’auto, ma non quando si va a spasso sul mare.

Prof. Dr. med. Mathias Sturzenegger, settembre 2018

Ho cominciato ad avere sintomi di Parkinson subito dopo un operazione renale. Puo darsi che intervento chirurgico o anestesia totale abbiano provocato insorgere della malattia?

E vero che sussiste una correlazione tra i sintomi visibili del Parkinson e alcuni eventi come le anestesie totali, le operazioni chirurgiche o una malattia grave. In molti casi il timing e dovuto al caso. In altre parole, la malattia avrebbe potuto manifestarsi nello stesso momento anche senza un'operazione ai reni o a un'anestesia. Poiche il Parkinson e una malattia cronica il cui decorso comincia gia anni prima che si notino sintomi apparenti, l'operazione chirurgica o l'anestesia totale non possono essere classificate come cause. Tuttavia, in stadi piu avanzati del decorso si osserva relativamente spesso un peggioramento, perlopiu temporaneo, dei sintomi a seguito di un'anestesia o di una malattia acuta. Cio e forse dovuto a un fabbisogno accresciuto di dopamina in un momento di stress per il corpo oppure a un'ulteriore disfunzione che tocca le cellule nervose gia danneggiate. In conclusione, se in una persona fino ad allora sana il Parkinson si manifesta dopo un intervento chirurgico, e possibile che si tratti di uno «smascheramento» della malattia, fase in cui i primi sintomi diventano percettibili.

Il prof. dr. med. Carsten Möller Clinica di riabilitazione di Zihlschlacht, viceprimario, direttore del Centro Parkinson, marzo 2024

Mio marito ha il Parkinson da 12 anni. Da un po’ di tempo, sul suo viso sono comparse delle aree arrossate e squamose. Anche nella barba e sul cuoio capelluto noto della forfora che gli conferisce un aspetto trascurato. Mi può dare un consiglio?

Le alterazioni cutanee sono purtroppo una manifestazione piuttosto frequente nei malati di Parkinson, la cui pelle può apparire squamosa, untuosa e spesso anche leggermente arrossata. Queste alterazioni sono note con il nome di dermatite seborroica.

In seguito all’accresciuta secrezione di sebo, il viso di parecchi pazienti parkinsoniani presenta un tipico aspetto squamoso. A volte questo sintomo può essere notevolmente mitigato, o addirittura eliminato, mediante una buona calibratura della terapia medicamentosa. Se questo tentativo fallisce, è necessaria una cura scrupolosa della pelle. Dato che solitamente la secrezione eccessiva di sebo interessa non soltanto la pelle del viso, bensì anche il cuoio capelluto, per non avere un aspetto trascurato è essenziale lavare spesso i capelli.

Il viso va lavato accuratamente 2 volte al giorno con un sapone dal pH neutro (ad es. lozione detergente Dermed). La successiva asciugatura riveste grande importanza, poiché sfregando la pelle si rimuovono le scaglie di pelle morta. La pelle andrebbe curata con una crema idratante (idrolozione) poco o per nulla profumata. Sui punti interessati dalla desquamazione, per alcuni giorni si può applicare un unguento contenente cortisone (idrocortisone) prescritto dal medico.
Per lavare i capelli, consiglio di utilizzare uno shampoo anti-seborrea (ad es. Ektoselen) che si può acquistare in drogheria.

I capelli vanno lavati quotidianamente con questo shampoo fino a quando si nota un netto miglioramento. In seguito, la frequenza dei lavaggi va diminuita (ogni due o tre giorni). Se l’effetto non è sufficiente, il medico potrebbe prescrivere a suo marito la lozione Betnovate Scalp.

Tutti i provvedimenti descritti combattono solo i sintomi. Se si interrompe il trattamento, oppure in caso di stress o sollecitazioni particolari, prima o poi il problema si ripresenterà. Per questa ragione, è importante curare la pelle con costanza. I prodotti contenenti cortisone (unguento al cortisone, lozione Betnovate Scalp) dovrebbero tuttavia essere utilizzati soltanto se i problemi cutanei si riacutizzano.

È possibile che le eruzioni cutanee da lei descritte abbiano un’origine diversa. Le consiglio di parlarne con il suo medico, ed eventualmente di consultare anche un dermatologo.

Elisabeth Ostler, Parkinson Nurse, giugno 2020

 

Avverto continuamente una forte pressione nella testa e dietro gli occhi, e in più mi sento sempre come se avessi i postumi di una sbornia. Mi hanno detto che questo è normale in caso di parkinsonismo atipico. È vero?

In mancanza di dati precisi non posso né confermare, né smentire. Di fatto, la pressione nella testa o dietro agli occhi non rientra fra i sintomi tipici né di una sindrome di Parkinson idiopatica, né di un parkinsonismo atipico. Quali possibili cause mi vengono in mente un aumento della pressione  intraoculare, una sinusite cronica, l’ipertensione o un processo occupante spazio nella testa.

Se si escludono queste patologie, la pressione nella testa e le vertigini possono anche essere segni di un disturbo depressivo. In questo caso, il corpo sviluppa dei sintomi dovuti a uno squilibrio psicologico riconducibile ad esempio a un’elaborazione insoddisfacente della malattia. Ne parli in ogni caso con il suo neurologo per verificare che siano state prese in considerazione tutte le cause possibili, e in tal caso magari valutare l’opportunità di provare un trattamento antidepressivo.

Dr. med. Matthias Oechsner, settembre 2016

Quali istituti mi può consigliare per un ricovero stazionario? La mia capacità di articolazione continua a diminuire, soffro di forti depressioni e dormo pochissimo. Ho ricevuto la diagnosi di Parkinson 3 anni fa. Assumo il Madopar.

Nel corso della malattia, molti parkinsoniani sviluppano un disturbo della parola o della voce che può portare all’isolamento sociale e alla depressione. Le caratteristiche tipiche possono essere una riduzione del volume della voce, un eloquio monotono, una voce rauca, un modo veloce di parlare, oppure una pronuncia complessivamente indistinta e difcilmente comprensibile. Raramente compaiono anche difficoltà a trovare le parole. Spesso i pazienti stessi non si accorgono di questi cambiamenti. Nella maggior parte dei casi, i farmaci antiparkinsoniani sono poco efcaci a questo riguardo.

Stando allo stato attuale delle conoscenze, una terapia logopedica mirata (voce e parola) è l’unico trattamento in grado di produrre un miglioramento dell’eloquio e della voce in caso di Parkinson. Nell’ambito di questa terapia si lavora sul miglioramento della percezione corporea, della postura, della respirazione, dell’emissione vocale, della velocità dell’eloquio e dell’articolazione. A tale proposito si è dimostrato particolarmente efcace il cosiddetto metodo LSVT© (Lee Silverman Voice Treatment): si tratta di un allenamento sistematico – sperimentato scientificamente – volto a migliorare la comprensibilità  dell’eloquio, in particolare aumentando il volume della voce. Durante il programma LSVT della durata di 4 settimane (con un’ora quotidiana di terapia 4 giorni la settimana) il paziente riceve continuamente un feed-back terapeutico concernente il volume e la comprensibilità della sua voce. In particolare, si allenano anche la «normale» autopercezione della propria voce e l’applicazione sistematica alla vita quotidiana. Afnché l’effetto della terapia duri a lungo, è importante che il paziente continui a esercitarsi anche da solo: per controllare il volume della propria voce basta un misuratore di decibel (disponibile in Internet per 20 franchi).

Sebbene taluni logopedisti offrano questo metodo anche in modalità  ambulatoriale, per ora il Programma può raggiungere l’intensità necessaria solo se viene svolto in  ambito stazionario. Pertanto bisognerebbe sfruttare le possibilità offerte da una riabilitazione intensiva presso una clinica specializzata nel Parkinson, quali quelle di Tschugg, Zihlschlacht o Rheinfelden. Soprattutto in caso di depressione con disturbo del sonno, si consiglia di optare per un approccio interdisciplinare, ad es. con psicoterapia e altri metodi terapeutici coadiuvanti, come quello proposto  presso una delle cliniche specializzate menzionate.

Dr. med. Helene Lisitchkina, marzo 2019

Mio marito (63) ha il Parkinson da 12 anni e la sua terapia è ben calibrata. Ultimamente la sua statura è diminuita, e da un po‘ soffre di mal di schiena. Un esame radiologico ha evidenziato diversi corpi  vertebrali fratturati. Mio marito è caduto un paio di volte, è vero, però ci chiediamo se i farmaci  antiparkinsoniani (Madopar, Requip-Modutab, Azilect, Comtan) possano provocare l’osteoporosi. La densitometria ossea è prevista prossimamente.

Finora non è stato descritto un rischio accresciuto di osteoporosi quale effetto collaterale del trattamento con i farmaci da lei citati o con altri medicamenti antiparkinson. D’altra parte, non esistono studi sistematici in questo campo. È però noto che i pazienti con malattia di Parkinson presentano un maggiore rischio di osteoporosi che comporta conseguenze particolarmente pericolose in caso di caduta: infatti, possono bastare piccoli traumi per causare fratture. L’accresciuto rischio di osteoporosi viene imputato in parte alla ridotta attività fisica dei parkinsoniani, che è all’origine di una riduzione della sostanza ossea.

Inoltre le persone anziane che si espongono poco al sole denotano una carenza di vitamina D: quest’ultima viene prodotta nella pelle per azione dei raggi solari e favorisce l’assorbimento del calcio nelle ossa, e quindi la resistenza  dell’apparato osseo. Una carenza provoca perciò l’osteoporosi. L’assunzione di vitamina D è pertanto consigliabile per molti anziani, e addirittura necessaria nel caso dei parkinsoniani. Esistono anche altre vitamine che probabilmente svolgono un ruolo nel metabolismo osseo: poiché anche nel loro caso sono note carenze conseguenti all’assunzione di farmaci antiparkinsoniani, possono essere indicati degli esami del sangue. Se è già stata diagnosticata un’osteoporosi, è sicuramente raccomandato un  trattamento con i farmaci specifici e vitamina D. Se esiste un rischio di caduta, si consiglia una fisioterapia a scopo preventivo.

Dr. med. Matthias Oechsner (archivio Parkinson Svizzera)

Il Parkinson può avere un effetto sulla calligrafia? 

Sulla calligrafia possono incidere varie patologie cerebrali. I neurologi lo hanno notato nel caso del Parkinson già oltre un secolo fa. A volte, un cambiamento della calligrafia è addirittura il primo sintomo di Parkinson che una persona nota su sé stessa.

In passato di parlava della micrografia da Parkinson: si era infatti soprattutto constatato che la scrittura diventava più minuta. Oggi siamo in grado di analizzare la calligrafia con maggiore precisione grazie a sistemi elettronici e si è notato che anche la velocità di scrittura e l’accelerazione nello scrivere cambiano. In alcune persone le lettere non hanno una dimensione costante, ma si rimpiccioliscono man mano che si scrive, un fenomeno su cui è particolarmente difficile agire con la farmacoterapia. Esistono però primi dati che sembrano confermare che un’ergoterapia e una fisioterapia mirate possono migliorare la calligrafia.

Dr. med. Tobias Piroth, Marzo 2023

Dopo aver osservato una crescente flessione laterale del tronco, i medici hanno diagnosticato a mia madre (77) una sindrome di Pisa e dicono che non si può fare niente. Si tratta di una conseguenza del Parkinson?

La sindrome di Pisa non è una diagnosi, bensì una descrizione (figurativa!) di un’anomalia posturale che si manifesta con una flessione tonica del tronco, che pende da un lato e in avanti. Sovente quest’anomalia posturale peggiora mentre si cammina, ostacolando notevolmente la deambulazione. La causa esatta non è nota. Sulla base di osservazioni cliniche, in sostanza entrano però in discussione due fattori. Da un canto si pensa a malattie organiche del cervello, e in particolare alle cosiddette malattie neurodegenerative (Parkinson, demenza di Alzheimer, ma anche altre). Dall’altro canto, si presume che la causa possa risiedere anche nell’assunzione di taluni farmaci, fra cui principalmente i cosiddetti neurolettici, ma anche altri psicofarmaci. Inoltre costituiscono fattori di rischio per questa anomalia posturale sia il sesso femminile, sia l’età avanzata. La combinazione di vari fattori (ad esempio la diagnosi di Parkinson abbinata a determinati farmaci e all’età avanzata) è ovviamente particolarmente rischiosa.

Questa sindrome è effettivamente molto difficile da trattare, e in realtà non esiste alcuna misura di sicura efficacia. Se entrano in gioco dei medicamenti, si può provare a ridurne la dose. In alternativa, entra in considerazione anche una terapia medicamentosa, ad esempio con anticolinergici, ma è pur vero che nelle persone anziane i farmaci hanno spesso forti effetti collaterali.

Per rispondere alla sua domanda: la sindrome di Pisa può – ma non deve – essere una conseguenza della malattia di Parkinson. Come detto, esistono anche cause diverse o aggiuntive.

Prof. Dr. med. Mathias Sturzenegger (archivio Parkinson Svizzera)

Mio padre (68) si è recato dal neurologo poiché ultimamente cade spesso. Il medico dice che soffre di un «parkinsonismo atipico con sindrome di Shy Drager». Di cosa si tratta e come si distingue dal Parkinson «normale»?

In età avanzata le cadute sono frequenti e possono avere molte cause (cuore, circolazione, organo dell’equilibrio situato nell’orecchio interno, midollo spinale, nervi periferici e diverse malattie cerebrali, ad es. disturbi dell’irrorazione sanguigna). Le cadute rientrano nella sindrome di Parkinson nel senso più ampio del termine.

Noi distinguiamo tre tipi di sindrome di Parkinson:

  1. la sindrome idiopatica, ovvero la malattia di Parkinson
  2. una sindrome sintomatica, ad es. dovuta a intossicazione o a taluni farmaci
  3. un parkinsonismo atipico o «neurodegenerativo». 

Quest’ultima definizione abbraccia diversi quadri clinici nei quali sono colpiti senz’eccezione i neuroni dopaminergici, ragion per cui si manifesta una sintomatologia «simile a quella del Parkinson». Tuttavia si aggiungono anche altri disturbi! Fra questi, vanno citati ad esempio i forti sbalzi della pressione sanguigna con un marcato calo in posizione eretta, il che può essere all’origine di cadute. Questi e altri disturbi funzionali del sistema neurovegetativo contraddistinguono la sindrome di Shy Drager (detta anche MSA, atrofia multisistemica).

Chiarire la natura delle cadute è spesso difficile, ma è anche importante per stabilire la terapia, rispettivamente le misure di prevenzione. Se si è effettivamente in presenza di un parkinsonismo atipico, la terapia è quasi sempre più complessa e meno promettente che nel caso della «normale» sindrome di Parkinson idiopatica. Anche la prognosi è purtroppo più infausta.

Prof. Dr. med. Mathias Sturzenegger (archivio Parkinson Svizzera)

Ultimamente informandomi sul Parkinson sono incappato spesso nel termine «stimolazione magnetica transcranica». Mi può spiegare come funziona questa terapia e per trattare quali sintomi del Parkinson viene utilizzata?

La stimolazione magnetica transcranica (TMS) e la stimolazione transcranica a corrente continua (tDCS) sono due forme di stimolazione cerebrale non invasiva (NIBS), una tecnica mediante la quale talune regioni della corteccia cerebrale vicina al cranio vengono stimolate dall’esterno, passando dal cranio. Ciò avviene mediante un campo magnetico nel caso della TMS, e con l’ausilio di una corrente continua nel caso della tDCS.

Ricerche recenti mostrano che la NIBS potrebbe costituire un’alternativa – accanto alla terapia farmacologica (dopaminergica), ai trattamenti non farmacologici (fisioterapia, ergoterapia, logopedia e neuropsicologia) e alla stimolazione cerebrale profonda (invasiva) – per il trattamento dei sintomi motori del Parkinson. Ciò soprattutto con riferimento ai sintomi per ora difficilmente controllabili, come ad es. il freezing (blocco motorio), le discinesie e i disturbi della motricità fine. Numerosi studi vertenti sulla sicurezza della stimolazione cerebrale non invasiva sono sfociati in chiare raccomandazioni a favore del suo impiego nel Parkinson. La NIBS è ben tollerata e – posto che ci si attenga alle direttive – non cela rischi particolari.

Sul piano clinico, attualmente la stimolazione magnetica transcranica è utilizzata soprattutto nell’ambito della diagnostica per la valutazione dei cosiddetti potenziali evocati motori (MEP). La TMS ripetitiva (rTMS), che lavora con stimoli singoli ripetuti velocemente e a ritmo regolare, consente di attivare, oppure inibire, l’attività cerebrale. Essa dispone quindi del potenziale per l’applicazione terapeutica. Di particolare interesse è l’impiego della rTMS a livello della corteccia motoria, non da ultimo in virtù della facilità d’accesso.
Secondo un articolo di recente pubblicazione, la rTMS potrebbe forse avere effetti positivi sui sintomi del Parkinson, e soprattutto sulla bradicinesia (rallentamento). La rTMS dovrebbe consentire di ridurre temporaneamente i sintomi (effetto protratto fino a 3 mesi). Con l’ausilio di questa tecnica si dovrebbe inoltre poter generare anche un effetto antidepressivo, a condizione di stimolare la corteccia prefrontale dorsolaterale. Negli Stati Uniti la Food and Drug Administration (FDA) ha autorizzato il ricorso alla rTMS per trattare le depressioni. Gli effetti sembrano essere uguali a quelli conseguenti all’assunzione di antidepressivi.

Sebbene l’efficacia della stimolazione cerebrale non invasiva su alcuni sintomi parkinsoniani sembri assodata, occorre precisare che per ora questo possibile metodo terapeutico aggiuntivo non è praticamente mai stato implementato negli ospedali. Ciò si spiega sicuramente con il fatto che i risultati sperimentali riferiti finora devono ancora trovare conferma in studi più ampi e controllati meglio. Inoltre va ancora studiato più accuratamente l’impiego della NIBS in caso di sintomi parkinsoniani difficilmente controllabili, come ad es. il freezing. E sarebbe anche interessante verificare se una combinazione tra, ad esempio, un trattamento fisioterapico basato sull’evidenza (allenamento sul tapis roulant) e la stimolazione cerebrale non invasiva sarebbe in grado di incrementare ulteriormente l’effetto terapeutico sui sintomi del Parkinson.

Riassumendo, si può affermare che oggi la NIBS potrebbe offrire un’alternativa ai metodi terapeutici già affermati per il trattamento dei sintomi motori del Parkinson. I risultati sperimentali ottenuti finora sembrano promettenti, ma devono ancora essere corroborati dagli esiti di studi migliori, più grandi, controllati e randomizzati.

Dr. phil. Tim Vanbellingen, settembre 2015

I parkinsoniani possono farsi vaccinare senza problemi contro il coronavirus?

L’esperienza dimostra che ogni influsso supplementare, sotto qualsiasi forma – che si tratti di un’operazione o di un’infezione – può causare un peggioramento dei sintomi del Parkinson. Questo rischio aumenta di pari passo con l’età e con la progressione della malattia. Nella maggior parte dei casi, l’infezione da covid-19 è innocua. In caso di decorso grave, soprattutto per le persone anziane e i pazienti affetti da una malattia cronica neurodegenerativa, essa può tuttavia diventare pericolosa, o addirittura letale. Stando alle nostre conoscenze attuali, nella maggior parte dei casi la vaccinazione è in grado di prevenire l’infezione da covid-19 e i decorsi gravi. Fatta eccezione per quelli già noti, i parkinsoniani non devono attendersi effetti secondari particolari.

Riassumendo, si può dire che la vaccinazione contro il coronavirus è raccomandata per i malati di Parkinson.

Dr. med. Stefan Hägele, giugno 2021

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